Evangelii gaudium: 5 anni dopo

Il 24 novembre del 2013 veniva pubblicata l'esortazione apostolica all'inizio del pontificato di papa Francesco che invitava tutti i cristiani a «una nuova tappa evangelizzatrice marcata» dalla gioia «e indicare vie per il cammino della Chiesa nei prossimi anni». Un bilancio del teologo e autore di numerosi saggi don Armando Matteo

A 5 anni di distanza qual è l’attualità di Evangelii gaudium?

Ritengo che l’attualità di Evangelii gaudium sia da registrare su un vari livelli. Il primo è quello della diagnosi. Papa Francesco riesce bene a cogliere il fatto che siamo dinnanzi ad un enorme cambio di scenario antropologico che sta imponendo ad ogni componente sociale e ad ogni singola persona una nuova collocazione nel e di fronte al mondo. Per dire le cose in modo semplice: la differenza tra noi e i nostri nonni non sta nel semplice fatto che noi facciamo cose che loro non ebbero modo di fare; la differenza è che noi facciamo in modo assolutamente differente ciò che essi facevano. E questo va dal modo di vestirsi al modo di concepire e relazionarsi alla vita, alla morte, al lavoro, all’amore, ecc… In questo modo abbiamo, certamente, straordinari vantaggi ma siamo pure posti davanti a nuovi problemi. Tra i quali Evangelii gaudium sottolinea in particolare l’individualismo crescente e il senso di tristezza che pervade molte delle nostre città. Ancora a questo livello, l’attualità di Evangelii gaudium sta nel dire apertamente che la Chiesa, così com’è, è ancora lontanissimo dall’aver preso coscienza di un tale cambiamento d’epoca e si è letteralmente ingolfata in tante prassi pastorali che spesso portano solo frustrazione e null’altro.

Su che altro versante allora  è possibile misurare l’attualità di Evangelii gaudium?

È sulla forza, la convinzione, la decisione con cui invita tutta la comunità credente ad un passo in avanti, alla logica dell’uscire: tocca proprio a noi, a noi credenti di quest’ora della storia, dare vita ad un cristianesimo sul serio capace di portare a tutti la buona notizia della gioia evangelica. Di quella gioia che dona l’incontro con Cristo e che ci porta ad aprirci fiduciosamente agli altri. Se non siamo capaci di questo, tutto il nostro fare e tutto il nostro spenderci serve davvero a poco.

Cosa è stato recepito?

È stato certamente recepito che papa Francesco voglia fare davvero sul serio, quando parla di riforma della Chiesa. Che sulla sua bocca questa parola non sia una formula retorica o propria di chiunque si trovi a dover guidare un’istituzione in tempi complessi come i nostri. Ed è forse a questo che si deve l’ancora tiepida, a mio avviso, recezione di Evangelii gaudium  nella vita delle Chiese locali. L’Evangelii gaudium , forse per la prima volta con una tale nitidezza, pone alle comunità cristiane questa domanda secca: possiamo o non possiamo cambiare ciò che non funziona più nelle prassi pastorali? E poiché tutti sappiamo quale sia la risposta giusta, ci sentiamo come spaventati. Cambiare, infatti, significa muoversi, significa attraversare processi e percorsi di purificazione e di nuova elaborazione pastorale, significa accettare la sofferenza che deriva dal discernimento, significa tirarsi su le maniche e mettersi a lavoro.

È appena uscito il tuo libro “Il postmoderno spiegato ai cattolici e ai loro parroci”. Come ripensare l’annuncio del cristianesimo nelle città?

Questo piccolo testo vuole essere null’altro che un’appassionata riflessione su alcuni numeri di Evangelii gaudium , in particolare di quelli dedicati alle Sfide delle culture urbane. In quel testo c’è tutto quello di cui vi è bisogno, per realizzare un annuncio del cristianesimo negli spazi urbani odierni. Si tratta, come ho cercato di fare in queste pagine, di mettersi sul serio all’ascolto di ciò che scrive papa Francesco. A mo’ d’esempio, ricordo solo due sue indicazioni. La prima è il fatto che la comunità credente deve scoprirsi sempre di più quale luogo di preghiera, luogo in cui si prega con e a partire dalla Parola, di modo che si possa davvero entrare in contatto con Gesù e con la gioia che ogni incontro con lui rende possibile. La seconda riguarda ciò che papa Francesco chiama la “mistica del vivere insieme”: in un tempo di crescente individualismo, di un’autonomia che lambisce spesso l’autismo (si pensi alla gente che rischia di sbattere ogni cinque minuti perché è sempre fissa sullo schermo del proprio cellulare) la comunione tra i cristiani deve essere qualcosa di concreto. Non una bella parola. Ma sangue e carne di ogni parrocchia. Di ogni movimento, di ogni associazione.

Per quali motivi i sacerdoti possono essere di ostacolo ad un reale cambiamento?

Molto dipende da quanto riusciranno a contrastare quel senso di stanchezza che oggi li affligge. E direi quasi del tutto comprensibilmente. A volte, nel coordinare le attività di una parrocchia, non si sa più quali pesci prendere. Ma questo è tempo, come dice papa Francesco, di non mollare. Di non rassegnarsi. Possiamo cambiare. Questo è il cuore di Evangelii gaudium . Quel che ci serve, a mio modesto avviso, è darci del tempo per pensare insieme, preti e laici, preti e vescovi, preti, laici e vescovi. Per capire cosa questo tempo – questo postmoderno – ci toglie e cosa invece ci offre come possibilità inedita per il futuro della nostra religione. Di più i sacerdoti dovrebbero avvertire, almeno da lontano, la bellezza di questo compito. Del compito cioè di dare vita a un cristianesimo dentro la cultura postmoderna, senza subirla e senza attaccarla istericamente.

Quali sono i nuovi racconti e paradigmi per raggiungere con la Parola di Gesù i nuclei più profondi dell’anima delle città?

Su questo non ho dubbi. Il primato della donazione. Oggi ci serve una nuova narrazione del senso dell’umano che è poi il senso del diventare grandi, adulti. L’adulto è uno che smette di chiedersi cosa può prendere dal mondo e dagli altri. Come direbbe il cardinal Martini, l’adulto è uno che ha messo di pensare a se stesso. Non perché è un idiota. Ma perché, grazie a Dio, grazie a Gesù, ha capito che il modo migliore di pensare a se stesso è quello di pensare agli altri. Ha capito che la vera gioia è dare gioia.Di adulti così ha bisogno l’anima della città. Se non vogliamo che le nuove generazioni non disperdano il loro potenziale di energia e di novità. Di adulti così ha bisogno l’anima delle nostre parrocchie. Se non vogliamo che diventino sempre più luoghi specializzati per l’infanzia e per la vecchiaia.

 

 

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