Equilibri finanziari e clima di fiducia

Di fronte al deteriorarsi della situazione economica del nostro Paese la priorità è  puntare sugli investimenti pubblici, evitando interventi dispendiosi
AP Photo/Gregorio Borgia

Nelle ultime settimane il dibattito di politica economica si è concentrato sull’approvazione e la messa a punto di due provvedimenti (aiuti ai cittadini a basso reddito e anticipo pensionistico per una fascia di età), ciascuno dei quali comporta un impegno dell’ordine 20 miliardi nel triennio.

La campagna pre e post elettorale che ha portato alla loro approvazione ha visto inizialmente minacce di uscita dell’Italia dall’euro e/o dall’Unione Europea, poi attacchi verso le istituzioni europee e internazionali, nonché verso esponenti politici dell’Unione e/o di Paesi partner, e infine ripetute dichiarazioni di sfida ai vincoli prudenziali alla spesa pubblica. Il risultato – che è di gran lunga l’impatto economico più grande della recente svolta politica italiana – è la perdita di oltre 100 miliardi di valore di mercato dei nostri titoli pubblici che tutto ciò ha provocato, danneggiando l’affidabilità finanziaria dello Stato Italiano.

Ne hanno fatto le spese molte famiglie italiane che hanno visto calare vistosamente il valore del gruzzolo che avevano messo da parte e prestato allo Stato. Forse ancora più problematica è la fetta di questa perdita che è ricaduta su un’altra categoria di creditori dello Stato: le banche, che si sono trovate impoverite di alcune decine di miliardi. Ciò le ha indebolite nella loro capacità di fornire credito ad imprese e famiglie. La più fragile di esse – Cassa di Risparmio di Genova – è stata così ulteriormente destabilizzata e ha dovuto essere salvata con i soldi pubblici.

Se guardiamo alla cosa dal punto di vista dei tassi di interesse, lo spread (l’extra tasso che lo Stato italiano deve offrire, in più rispetto a quanto fa lo Stato tedesco, perché i creditori accettino di comprare i nostri titoli decennali) si è assestato attorno ai 250 punti base (due punti percentuali e mezzo); un respiro di sollievo  dopo i picchi oltre i 300 punti base che si sono avuti al culmine dello scontro con le istituzioni europee.

E’ un po’ come se la febbre a 39 di un maratoneta fosse sì scesa, ma restasse attorno ai 38, decisamente troppo alta per poter pensare di correre una gara. Anche l’Italia di oggi dovrebbe correre, ma è zavorrata dai dubbi – accresciutisi negli ultimi nove mesi – sulla nostra capacità di ripagare il colossale debito che abbiamo accumulato. L’impennata dello spread da maggio in poi è già costata una cifra dell’ordine di 5 miliardi per i maggiori interessi già pagati e per quelli che ci siamo impegnati a pagare per tutta la durata dei titoli emessi a tassi maggiorati. Se lo spread resta a questi livelli sempre nuovi oneri si aggiungeranno, fino a superare presto i 10 miliardi l’anno. Questi stessi oneri rendono sempre meno sostenibile il nostro debito pubblico, il che quindi tende a spingere lo spread ancora più in alto, in un circolo vizioso molto inquietante.

Chi ci osserva da fuori lo capisce molto bene. E se il Fondo Monetario parla di un “pericolo Italia” non è necessario vedere in questo una speciale malevolenza. La stessa cosa la vanno dicendo da mesi i notiziari economici delle emittenti internazionali, i cui redattori – basati nella Londra della Brexit, nella trumpiana New York o nella lontana Hong Kong – non hanno come prima preoccupazione quella di parlare tutti insieme contro l’attuale governo italiano. Si tenga presente che il clima di sfiducia verso l’economia italiana non riguarda solo chi dovrebbe comprare i nostri titoli, ma anche le imprese, da cui spereremmo venissero nuovi investimenti e nuovi posti di lavoro. E a ciò si aggiunge un certo rallentamento dell’economia mondiale, i cui segnali iniziavano a manifestarsi già da alcuni mesi. Se quindi la Banca d’Italia e il Fondo Monetario Internazionale prevedono una crescita del nostro Prodotto Interno Lordo decisamente modesta, lo 0,6%, anziché attaccare queste istituzioni, sarebbe meglio prendere atto della realtà: l’Italia è in una condizione di debolezza, il che, dato l’enorme debito, può creare molti problemi, prima di tutto a noi stessi, ma anche all’economia europea, e non solo.

Di fronte a questa situazione decisamente allarmante, si può fare qualcosa? Se qualcuno non conoscesse il dibattito politico italiano degli ultimi anni e si preoccupasse di tirare fuori dai pasticci la nostra economia, il primo passo che farebbe sarebbe bloccare i pensionamenti della cosiddetta quota 100, e rafforzerebbe invece il taglio delle pensioni più alte e generose deciso proprio dall’attuale governo.

Per quanto riguarda l’aiutare gli italiani a più basso reddito troverebbe che esistono alternative più efficaci e meno costose del cosiddetto “reddito di cittadinanza”. E parte delle risorse risparmiate le indirizzerebbe verso gli investimenti pubblici, ancora una volta sacrificati. Certo, serve molto altro. Ma occorrono segnali – per noi stessi e per gli stranieri – che dell’economia italiana ci si può ancora fidare.

 

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