Entra la corte

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18 voci fuori dal coro. 18 persone che giurano in forma solenne davanti al mondo di difendere la dignità umana. Sono i giudici che lo scorso 11 marzo all’Aia, Paesi Bassi, hanno assunto la carica nel corso della cerimonia di inaugurazione della Corte penale internazionale (Cpi), in un’atmosfera di profonda compostezza e di intenso silenzio, alla presenza della regina e del segretario generale delle Nazioni Unite Kofi Annan. Tra i giudici eletti, un italiano, Mauro Politi, tra coloro che negli ultimi 10 anni ha lavorato più intensamente per la nascita della Corte. Gli abbiamo chiesto che cosa cambierà con la nascita di questo nuovo organismo internazionale: “Chi commetteva in passato crimini di particolare crudeltà – ha risposto – era sicuro di rimanere impunito. Ciò non esiste più. Da oggi chi in giro per il mondo commette questi crimini sa che esiste un organismo che può punirlo anche se il proprio stato decide di non perseguirlo penalmente. Questi uomini non potranno più essere strumento di politica internazionale e di lotte interne”. La presenza femminile tra i giudici è elevata, sette in totale. Tra loro il giudice Anita Usacka, della Lettonia: “Sono particolarmente felice di essere un giudice della Corte penale internazionale perché vengo da un paese di passata dominazione comunista, che per 50 anni come tutti gli altri, ha sofferto molto per i criminicommessi ai danni della popolazione civile”. La sua previsione: “Da tutto il mondo, specialmente dall’Africa, stanno arrivando al futuro procuratore segnalazioni di crimini subiti (da fonti raccolte, ad oggi sono più di 200, ndr) ma credo che ne verranno molte dai paesi dell’Est Europa”. I giudici sono ottimisti per il futuro della Corte; non poteva essere altrimenti, ma con una buona dose di realismo hanno chiesto, come ha sottolineato il giudice cipriota Gheorghios Pikis, “tempo e pazienza” per rendere visibili i risultati: la Corte è un albero giovane, che con il passare del tempo diventerà sempre più robusto. Del resto lo Statuto di Roma ha raccolto ampi, crescenti e repentini consensi, ed è stato ad oggi ratificato da ben 89 stati, nel sorprendente periodo di soli 4 anni e mezzo. A questo ottimismo fa da contraltare l’intensa attività di ostruzionismo svolta dagli Usa, i quali ufficialmente lamentano il rischio di processi motivati politicamente ai loro danni, ma più semplicemente temono l’incriminazione delle loro forze armate (e dei loro responsabili politici) dispiegate nel pianeta. Non vi è dubbio che l’efficacia della Corte dipenderà da come potrà essere affrontata l’ostruzione americana. Secondo il giudice Politi, “gli scettici ci sono sempre stati; c’era chi non credeva che si sarebbe arrivati alla Conferenza di Roma del 1998; una volta giunti a Roma, c’era chi non credeva che si sarebbe elaborato il testo finale dello Statuto della Corte; altri scettici dubitavano che si sarebbero raggiunte le 60 ratifiche per far nascere la Corte; e, ancora, altri pensavano che non si sarebbe trovato accordo nella designazione dei giudici. Gli scettici sono stati sempre smentiti dai fatti. Vedrà, lo saranno ancora una volta. Il problema non è solo americano. La Corte mira ad essere universale e può riuscirci attraverso il lavoro, conquistandosi credibilità con lo svolgimento di un lavoro efficiente”. C’è da augurarsi che il governo Berlusconi, che in diverse occasioni ha dato ampie assicurazioni di voler dare lustro a questo organismo internazionale battezzato a Roma, e che in altre invece ha mostrato di essere sensibile alle preoccupazioni americane, possa svolgere – nel semestre di presidenza italiana dell’Unione europea che inizierà il 1° luglio 2003 – un ruolo di forte coordinamento delle attività europee a tutela dell’integrità dello Statuto di Roma e della neonata Corte. Per questo c’è da augurarsi che venga al più presto nominato un responsabile governativo che svolga, durante la presidenza italiana, questa attività di coordinamento. Per concludere, c’è un altro argomento che fa riflettere: la nascita della Cpi è un segno dei tempi, e la classe dei giornalisti italiani sembra non averlo colto fino in fondo; mentre nei giornali di tutto il mondo ha avuto ampio risalto la notizia del giuramento dei giudici, Città nuova era l’unica testata italiana accreditata all’ingresso della cerimonia e la stampa di casa nostra, salvo rare eccezioni, ha preferito concedere spazio solo alle notizie sull’Iraq, legate ad una logica di guerra, piuttosto che approfondire il tema della Cpi che risponde ad un logica di pace e di speranza. Confidiamo che, attraverso l’efficienza e la professionalità, la Cpi possa ritagliarsi uno spazio sempre maggiore nello scenario internazionale, e beneficiare di un meritato risalto sui mezzi di comunicazione. STATUTO DI ROMA: I PUNTI FONDAMENTALI Adottato nel 1998 e entrato in forza il 1° luglio 2002. La Cpi punisce i responsabili di genocidio, crimini di guerra e contro l’umanità. La Cpi non si sostituisce ai tribunali nazionali, ma è ad essi “complementare”: agisce solo quando lo stato non vuole o non può punire i responsabili di questi crimini. La sua competenza parte dal 1° luglio 2002, e quindi non si occuperà delle azioni commesse in precedenza. La Cpi ha giurisdizione se il crimine è stato compiuto da un cittadino – oppure sul territorio – di uno stato che ha ratificato. Se non è soddisfatta almeno una di queste due opzioni, la Cpi non ha possibilità di agire, a meno che non sia il Consiglio di sicurezza dell’Onu ad assegnarle il caso. Non esistono immunità diplomatiche: anche capi di stato, di governo, di stato maggiore, parlamentari ecc. possono essere sottoposti alla giurisdizione della Corte. La pena massima prevista è di 30 anni, o l’ergastolo per circostanze eccezionali. È esclusa la pena di morte. I minori di 18 anni sono esenti da procedimenti penali davanti alla Cpi. In aprile si nominerà il procuratore (il responsabile delle investigazioni e dell’accusa), e la Cpi sarà completa in ogni suo organo. Per ulteriori informazioni è possibile visitare il sito della Fondazione Toni Weber http://ftw.superstore.it oppure il sito in inglese www.iccnow.org LE MOSSE USA PER CONTRASTARE LA CPI Sul piano interno è stata adottata una legislazione, detta Aspa (American Servicemembers’ Protection Act, Atto di protezione del personale ufficiale americano), che impedisce ad ogni organo Usa – dalle corti nazionali alle forze di polizia – di cooperare con la Cpi. Sul piano internazionale l’attività è altrettanto frenetica: sono rivolte forti pressioni a certi stati ritenuti strategicamente importanti al fine di scoraggiare una loro ratifica dello Statuto, ponendo sul piatto della bilancia la prosecuzione delle collaborazioni in campo economico e militare. Gli alleati della Nato sono stati risparmiati da questa attività di pressione. Ma Washington sta anche cercando di tessere una vasta serie di rapporti bilaterali – con stati che hanno ratificato (e quindi vincolati a obblighi di ottemperare alle richieste della Cpi) – volti a impedire al paese firmatario dell’accordo di consegnare un cittadino statunitense alla Cpi. Questi accordi bilaterali, alla luce del presente diritto internazionale, sono ritenuti non validi dalla quasi totalità dei giuristi internazionalisti. In più gli Usa nel luglio 2002 hanno fatto adottare al Consiglio di sicurezza una risoluzione, valida solo un anno, che fornisce una sorta di immunità ai componenti delle operazioni Onu di peacekeeping. Si crea così una doppia giustizia, quella per truppe Onu e quella per truppe non Onu. Questa risoluzione sarà ridiscussa a fine giugno 2003.

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