Elvira e i tossici

Nata in una famiglia numerosa del frusinate, Rita fin da piccola impara cosa significano la pazienza, la compassione e la comprensione verso il povero, l’emarginato, il diverso. Suo padre è alcolizzato, incapace di avere continuità nel lavoro, spesso la costringe ad andare a comprare le sigarette quando è buio e fa freddo, e lei deve percorrere molta strada a piedi da sola, piena di paura. Le umiliazioni e i gesti insani che subisce, però, a mano a mano si trasformano in lei in coraggio e fortezza, le insegnano a vincere la pigrizia e ad affrontare le situazioni difficili, una alla volta. Nel ’45, durante la seconda guerra mondiale l’intera famiglia si trasferisce in Piemonte e trova ospitalità in una caserma abbandonata, insieme ad altri profughi. Rita continua a vivere in un clima di povertà materiale e spirituale finché a 19 anni decide di entrare nella congregazione delle Suore della carità di santa Giovanna Antida Touré, a Torino, e prende il nome di suor Elvira. “Questa santa francese, chiamata la santa della carità, mi ha affascinata particolarmente perché ha dedicato tutta la sua vita ai poveri – mi racconta – e mi sono sentita subito sua figlia. Sono rimasta trent’anni in congregazione e ho fatto tutti i mestieri, dalla cuoca, alla portinaia, alla maestra d’asilo… Ma poi è subentrato dentro di me un tormento, un desiderio fortissimo di dedicarmi ai giovani e alle loro difficoltà. Allora, dopo averne parlato con il vescovo, insieme ad un’altra suora e ad un’insegnante abbiamo chiesto al comune di Saluzzo, in provincia di Cuneo, di trovarci un luogo dove poter accogliere i giovani disperati ed emarginati. “Nel luglio dell’83 ci è stata data in concessione una vecchia villa abbandonata, in collina, tutta da ristrutturare, con un bel panorama sulla campagna piemontese e, alle spalle, il Monviso. È iniziata così la nostra avventura piena di speranza e di fiducia. All’inizio è stata dura, perché dormivamo per terra, ci sedevamo su cesti di paglia, non c’erano infissi infissi né porte; ma confidavamo in Dio Padre a cui chiedevamo, ogni giorno durante i momenti di preghiera, di proteggerci e di non farci mancare nulla. È stato così che abbiamo deciso di vivere solo di provvidenza e di non accettare i soldi dello stato. Eppure, in 19 anni, non abbiamo mai avuto la necessità di entrate in un negozio a fare la spesa. Dentro di noi avevamo la convinzione che tutti i giovani drogati, feriti nella psiche e nel cuore che venivano a bussare qui, erano in grado di lavorare, di costruire finestre e porte, di riparare un muro, di coltivare la terra e di accudire gli animali. Soltanto con il sudore, la fatica del loro lavoro e con la preghiera sarebbero stati in grado di ricostruire la loro personalità, con l’aiuto degli altri, giorno dopo giorno, mattone dopo mattone”. Nella Comunità Cenacolo, riconosciuta come associazione di volontariato sia dalla chiesa che dalla Regione Piemonte, la giornata inizia per tutti la mattina alle 6: ci si alza e si va in cappella dove si recita il rosario, si ascolta la messa e si medita sulle letture della Scrittura. Poi c’è un momento di condivisione durante il quale chi vuole, a turno, racconta agli altri come sta vivendo il suo periodo in comunità, le sue difficoltà e le sue conquiste, il suo dolore e le sue gioie. “Quando riesci a metterti a nudo di fronte alle ottanta, novanta persone che vivono con te – commenta Guido Frison, 27 anni, ex-tossicodipendente in comunità dal ’95 – significa che è già avvenuta la prima guarigione. Perché il tossico, in genere, è insicuro e timido, e ha una grande difficoltà ad esternare ciò che ha dentro. Qui, però, appena arrivi, ti viene insegnato a vivere il più profondamente possibile la verità, ad ascoltare cosa ti dice la coscienza, quella coscienza che per anni hai anestetizzato con la droga e con il male che facevi a te stesso e agli altri. Scopri la grandezza della misericordia di Dio che non ti ha mai abbandonato anche quando eri nel fango più degradante e che, appena arrivato, si manifesta attraverso “l’angelo custode”, cioè il ragazzo ex-drogato che ti viene messo vicino, che ti assiste 24 ore su 24 e ti soccorre di notte, quando non riesci a dormire per le crisi di astinenza portandoti una tisana che possa rilassarti oppure ti insegna con amore e dedizione a lavorare il legno, a cucinare o a fare lavori di carpenteria. E così, piano piano, ricominci a credere in te stesso, a scoprire che dentro di te non esiste solo una parte distruttiva ma anche una parte creativa, che ti permette di realizzare con il legno una statua o un’icona, e di cucinare un pranzo per ottanta persone anche se nella tua vita non hai mai cotto neanche un piatto di pasta”. Dopo il momento di condivisione i ragazzi della comunità lavorano per otto, nove ore chi nei campi e con gli animali, chi in falegnameria, chi nellaboratorio dove si impagliano sedie, chi nell’officina di saldocarpenteria, chi in cucina; così, nel giro di pochi mesi, a turno tutti imparano a fare un po’ di tutto. Prima di pranzo e di cena c’è un momento di preghiera, poi si mangia insieme ai giovani volontari o ai seminaristi che, pur non essendo tossicodipendenti, vengono in comunità per fare esperienza di vita, per imparare ad amare, lavorando gomito a gomito con i ragazzi. Come dice suor Elvira, “questa comunità è una grande famiglia che accoglie persone di tutto il mondo e, grazie alla preghiera, qui si vive una qualità particolare dell’amore che nasce da storie diverse. Tutti si sentono rispettati e, poco alla volta, aprono il cuore e imparano a scomodarsi e a rischiare per un amore vero, leale, che richiede sacrificio ma che ti fa andare al di là dei tuoi limiti e ti dà la forza di ricominciare sempre, in qualsiasi stato ti trovi”. L’80 per cento delle persone che entrano nella Comunità Cenacolo riesce a tornare ad una vita normale. Molti, quando escono, trovano un lavoro, si sposano e hanno figli; altri invece decidono di restare a lavorare in comunità, mettono su famiglia e spesso vanno a fondare una nuova comunità nei paesi dove c’è più bisogno. E così, sparse per il mondo, in 19 anni, sono nate 36 fraternità, alcune femminili, altre maschili, che si occupano di raccogliere non solo tossicodipendenti ma anche poveri, bambini di strada, ragazze madri e malati di mente. “Sono strafelice di lavorare e di vivere qui nella Comunità Cenacolo di Saluzzo con mia moglie e i miei tre figli – conclude Guido – perché ho il tempo di dedicarmi al Signore, alla mia famiglia e agli altri. Queste sono le cose che ormai riempiono la mia vita e non desidero altro”. “Una donna piccola, ma con un cuore grande quanto il mondo”: così suor Elvira viene definita dai ragazzi della Comunità.

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