Elogio del silenzio

Per lei, la scuola è destinata a seguire quel modello psicologico, sociale, politico che ha trasformato le relazioni interpersonali in scambi brillanti, sfacciati, banali? Esiste ancora il silenzio, l’interiorità, la profondità, la timidezza oppure estroversione e legge del più furbo sono le virtù che ci auguriamo di tramandare alle generazioni successive? Lei coglie il centro del problema. Io trovo che la scuola oggi abbia abbandonato il fine di formare alla bellezza, alla cultura e di esercitare allo studio e alla concentrazione. Siamo invitati, come insegnanti, a trasmettere un enorme patrimonio letterario e nello stesso tempo si preme perché innoviamo e facilitiamo la scuola ai nostri ragazzi. Possiamo fare lezioni molto moderne, possiamo fare un parallelo tra New Orleans e Manzoni ma non è questo il punto. Quando si chiede uno studio approfondito, individuale, solitario questo non viene fatto più. Perché io trasmetta ancora i grandi classici della letteratura ho bisogno di un ragazzo che abbia tempo, che stia almeno tre ore di seguito seduto alla scrivania a studiare un testo. Questo si scontra con l’esigenza predominante del dover essere esperti in tutti i campi più disparati, dall’inglese al francese, alla lezione di chitarra alla ginnastica. Non bisogna però dare ai giovani questo surplus di competenze a scapito dei saperi tradizionali. E Internet? Quanto incide nello studio? Certamente Internet sostituirà lo studio. L’altro giorno stavo introducendo la classe alla lettura del Candido e ho chiesto semplicemente per la volta dopo di andarsi a studiare qualcosa della vita di Voltaire utilizzando l’antologia, l’enciclopedia o Internet. Il giorno dopo tutti avevano stampato tramite Internet la vita di Voltaire ma quando ho chiesto di esporla alla classe nessuno la sapeva. È caduto proprio il concetto di studio come capacità di fare proprie le nozioni di un libro. Non si tratta di avere delle informazioni ma di saperle introiettare per creare cose nuove. In La scuola raccontata al mio cane lei propone come antidoto la passione per la letteratura, l’etimologia, la riscoperta del significato filologico.. Sì, questa secondo me è una cura. Ha detto bene, è un antidoto. Richiede ai ragazzi di riflettere sulle parole, cioè di non dare nulla per scontato, ma di andare a fondo di ogni singolo passo. Secondo me si apre in tal modo un mondo, e forse anche la curiosità di voler indagare dietro le cose. Questo è politicamente ed educativamente un grande discorso. Non ci fermiamo più in superficie ma vediamo quale lontananza di secoli e di storia c’è dietro un singolo fatto. A me pare un modo per ricominciare a pensare, perché qui abbiamo un guaio: stiamo perdendo la facoltà di pensiero e la capacità di parlare. Un problema scolastico, che non nasce nella scuola ma nella società, riguarda l’impoverimento dei rapporti interpersonali e la loro riduzione a un modello di rapporti facili, ma superficiali … La scuola si adegua alla società e alla televisione. I nostri ragazzi sono abituati fin dalle elementari ad essere valutati tanto più positivamente quanto più intervengono, ma il problema è che paradossalmente intervengono quelli più estroversi e che hanno meno da dire. In generale il ragazzino più intelligente sta zitto perché ritiene di dover ascoltare prima di poter dire a otto anni delle cose profonde. Se faccio intervenire una classe spesso misuro l’estroversione e la sfacciataggine ma non l’intelligenza. Che cosa ne pensano gli altri insegnanti?

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