Divorzio all’inglese

L’intenzione della Gran Bretagna di uscire dall’Unione europea è stata formalizzata. Credo che si possa dire, come tutti i divorzi, che è un evento triste, ma adesso si pone il problema di trovare un accordo. In base all’articolo 50 del Trattato di Lisbona, si dovrà aprire un vero e proprio negoziato, difficile come e più del processo di adesione all’Ue.
Britain's Prime Minister Theresa May meets European Council president Donald Tusk, left, inside 10 Downing Street, London, ahead of Brexit talks, Thursday, April 6, 2017. The European Parliament on Wednesday backed the bloc's chief negotiator in demanding Britain pay as much as 60 billion euros ($64 billion) for outstanding commitments. The talks come as both sides are settling on their negotiating positions. (AP Photo/ Dan Kitwood, Pool)

Pasquale Ferrara, diplomatico e saggista, docente di diplomazia e relazioni internazionali alla Libera Università Internazionale degli Studi Sociali Guido Carli (Luiss) e all’Istituto Universitario Sophia (Ius).

L’intenzione della Gran Bretagna di uscire dall’Unione europea è stata formalizzata. Credo che si possa dire, come tutti i divorzi, che è un evento triste, ma adesso si pone il problema di trovare un accordo. In base all’articolo 50 del Trattato di Lisbona, si dovrà aprire un vero e proprio negoziato, difficile come e più del processo di adesione all’Ue. Le formule allo studio sono diverse e fantasiose, come il “modello Norvegia” di associazione all’Ue (che però la Gran Bretagna rifiuta). Londra sembra essersi preparata, purtroppo, a quella che è stata definita hard Brexit, cioè all’uscita completa dal sistema dell’Unione. D’altra parte, non avrebbe senso continuare ad applicare le norme dell’Ue senza far più parte del suo contesto istituzionale e quindi senza la possibilità di avere un ruolo nelle decisioni. Il terreno per Londra è però tutto in salita. Basti pensare al fatto che la Gran Bretagna dovrà rinegoziare da sola centinaia di accordi commerciali conclusi dall’Ue con altri Stati per conto di tutti i suoi membri. Tuttavia la dimensione umana di questa separazione è quella più dolorosa. Che ne sarà degli studenti europei che frequentano università inglesi? Finora erano equiparati ai cittadini britannici, ma in futuro non sarà più così. Lo stesso dicasi per ricercatori, ingegneri, medici, analisti finanziari… Bruxelles sembra voler insistere proprio su questo punto: niente accesso al mercato unico europeo per la Gran Bretagna senza libera circolazione dei lavoratori europei in territorio inglese. Ci sono poi questioni politiche ancora più serie. Ad esempio l’Irlanda del Nord. Gli “accordi del Venerdì Santo”, che avevano risolto il lungo conflitto che ha opposto per decenni cattolici e protestanti, erano stati resi possibili anche dalla circostanza che il confine tra l’Eire e l’Irlanda (Dublino) era diventato un confine interno all’Unione europea, una frontiera leggera, che rischia ora di richiudersi e diventare un confine esterno. Lo stesso dicasi per Gibilterra, promontorio iberico sotto sovranità inglese, che si troverebbe d’improvviso ad essere un territorio completamente isolato dalla Spagna e dal resto dell’Europa. Insomma, l’uscita di Londra dall’Ue è un evento traumatico. Lascerà ferite profonde nel continente per decenni. A me piace pensare che un giorno, come si dice nello schema di negoziato, alla Gran Bretagna non sia precluso il ritorno.

 

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