Dividere non è governare

Le ultime uscite del presidente Trump continuano ad inasprire polarizzazioni e dissensi che, da un lato, accendono la partecipazione civile, ma dall’altro creano sempre più distanza tra le classi sociali e con la politica.

L’ultimo ad essere finito nel mirino presidenziale è Mark Zuckerberg: il fondatore di Facebook, che proprio la scorsa settimana aveva annunciato di voler consegnare al congresso le oltre tremila inserzioni pubblicitarie collegate alle ingerenze della Russia nella campagna elettorale statunitense. Donald Trump ha twittato che «Facebook è sempre stato anti-Trump come lo sono il New York Times e il Washington Post», testate accusate di spargere notizie false sulla sua presidenza.

Nel week-end milioni di spettatori dal vivo o in tv hanno assistito alle proteste dei giocatori della Nfl, la Lega nazionale di football americano, che conta 32 società professioniste, proprietarie di club come i New York Giants e i New York Jets, Los Angeles Rams e i San Francisco 49ers. È stato proprio uno dei giocatori dei San Francisco 49ers, Colin Kaepernick, che lo scorso anno aveva cominciato ad inginocchiarsi durante l’inno per protestare contro le discriminazioni e le violenze nei confronti degli afro-americani, a farlo per primo.

Lo aveva seguito Stephen Curry dei Golden State Warriors. Temendo un estendersi della protesta, il presidente Trump ha chiesto di licenziarli poiché non avevano rispettato la bandiera. Kaepernick ad oggi non ha ancora una squadra, ma tanti dei proprietari “bianchi” dei club si sono rifiutati di licenziare i giocatori “neri”. Trump ha allora chiesto che gli spettatori boicottassero le partite e questo ha ulteriormente incendiato gli animi al punto di spingere Tom Brady dei New England Patriot, ritenuto «grande amico del presiedente», ad intervenire ad una trasmissione radio dichiarando i commenti presidenziali estremamente «divisivi».

Domenica due squadre hanno ascoltato l’inno negli spogliatoi invece che in campo e molti giocatori hanno alzato il pugno, simbolo del Black Power, il movimento di protesta a difesa dei diritti degli afro-americani. Inoltre molti proprietari dei club, prolifici donatori del partito repubblicano, hanno fatto intendere che limeranno i contributi se i toni del commander in chief non cambieranno.

Secondo un sondaggio di Abc News  e del Washington Post, pubblicato domenica, il 66 per cento degli intervistati ha dichiarato che Trump sta lavorando più per dividere il Paese che per unirlo. Il gradimento della sua presidenza nei primi otto mesi si attesta al 39 per cento, la percentuale più bassa tra tutti i suoi predecessori. Bush, esponente del suo stesso partito, aveva ricevuto il 90 per cento di consensi. In politica estera il 62 per cento degli americani non lo considera in grado di gestire in maniera responsabile la situazione coreana, una delle più urgenti nell’agenda presidenziale.

In this image made from video released by North Korean broadcaster KRT on Tuesday, April 11, 2017, North Korean leader Kim Jong Un holds up the Supreme People's Assembly card in Pyongyang, North Korea. North Korea's parliament convened Kim Jong Un taking the center seat. The Supreme People's Assembly normally meets once or twice a year at the Mansudae Assembly Hall in central Pyongyang. (KRT via AP)

L’intervento all’Onu del presidente ha portato in un’Assemblea che guarda alla pace e alla soluzione delle crisi mondiali, una lettura eccessivamente  nazionalista e un inasprimento pericoloso nei rapporti con Kim Jong Un, il presidente della Corea del Nord, inserita tra l’altro nella lista dei Paesi banditi dagli Usa a partire dal 18 ottobre. Infatti, la scorsa settimanak l’ordine esecutivo che proibiva temporaneamente ai cittadini di Iran, Libia, Siria, Yemen, Somalia, di entrare negli Usa è diventato definitivo. Nel divieto sono stati inclusi anche Ciad, Venezuela e Corea del Nord.

Il presidente ha precisato che questi Paesi non hanno standard di sicurezza tali da garantire «la sicurezza degli Stati Uniti e del suo popolo». E questo nonostante nessuna delle nazioni bandite abbia attaccato gli Usa negli ultimi venti anni e che i visti della Corea del Nord siano poche decine all’anno, e il bando per il Venezuela riguardi solo i membri del governo e i loro familiari, mentre la crisi dello Yemen abbia alle spalle il sostegno presidenziale all’Arabia Saudita, responsabile della tragedia umanitaria del Paese della Penisola arabica.

Le divisioni del governo Trump sono visibili anche all’interno del Congresso, che per la quarta volta non ha votato i cambiamenti alla riforma sanitaria, nota come Obamacare, perché non aveva i numeri, pur essendo a maggioranza repubblicana. Vari senatori si sono rifiutati di aderire ad una proposta di riforma opaca, che lascia milioni di statunitensi privi di assicurazione o in un limbo di due anni prima di poter vedere una nuova legge. Persino le lobby delle assicurazioni mediche hanno spinto per il boicottaggio.

A nove mesi dal suo insediamento, più che un governo politico, Trump sembra guidare un’ondata culturale dove sulla cresta sono concentrate le paure della classe media, gli effetti della crisi economica ed identitaria, un sogno statunitense di ricchezza sempre più fragile. E le spiagge su cui queste onde si infrangono sono quelle di tante Americhe, sempre più distanti l’una dall’altra. I suprematisti bianchi di Charlottesville hanno costruito un loro Paese immaginario e così hanno fatto i sostenitori del giudice Monroe in Alabama, che alle elezioni per un seggio vacante al Senato, forte dell’appoggio di Trump, si è presentato con tanto di pistola: la baldanza non gli è valsa la vittoria, che è andata ad un candidato repubblicano più tradizionale.

Marcia per la cittadinanza a Washington
Marcia per la cittadinanza a Washington

Nelle grandi città della costa, da New York a Los Angeles, si respira tutt’altro: sono sempre più numerosi i negozi e i bar che espongono cartelli a favore dei musulmani o degli afro-americani, mentre le università e i college continuano ad offrire assistenza ai dreamers, i giovani arrivati bambini negli Usa senza documenti legali, che rischiano ora il rimpatrio e l’espulsione, a causa dell’annullamento di un provvedimento siglato da Obama senza l’approvazione del Congresso.

Divide et impera era la strategia di governo ai tempi dei romani, ma non sembra che sia quella utile in questo momento agli Usa: le sue tante anime appartengono di diritto alla nazione sin dalla sua nascita, e la sua carta fondatrice ha concesso a tutte pari dignità e pari diritti. Il presidente dovrebbe essere garante dell’unità di questa molteplicità e non dovrebbe essere fautore della sua divisione.

 

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