Disinneschiamole

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«Su una branda, a un angolo, in fondo alla corsia c’è qualcosa che sembra un mucchietto di garza sanguinolenta gettato via, immobile. È una bocca gonfia, tumefatta, l’unica cosa che si scorge di Khalil tra le bende. La bocca emette un lamento flebile, quasi timido, quando l’infermiere lo tocca, nient’altro. A Khalil la mina non ha rubato solo lo sguardo dell’infanzia, gli ha cavato tutti e due gli occhi, gli ha cancellato la faccia, gli ha strappato le dita dalle mani. Quanti anni avrà Khalil? È difficile dare un’età a un mucchietto di garza e a una bocca ustionata…». Ad esprimersi in questo modo è Gino Strada, fondatore di Emergency e chirurgo, nel libro Afghanistan anno zero (ed. Guerini e associati). Le mine, infatti, costituiscono uno dei tanti problemi che affliggono intere popolazioni inermi. Giocattoli quasi nella loro forma, costruiti con arte per essere invisibili e micidiali allo stesso tempo. Un problema dalle dimensioni enormi che neanche immaginiamo. Boati lontani che le nostre orecchie non ascoltano né i nostri occhi vedono, se non raramente. E adesso che anche i nostri soldati sono impegnati in Afghanistan nell’opera delicatissima di sminamento del territorio, la cosa torna a riguardarci un po’ più da vicino. L’Afghanistan. Insieme alla Cambogia detiene il triste primato per numero di mine disseminate ovunque: 10 milioni secondo le stime effettuate dalle Nazioni Unite e dalla Croce Rossa internazionale. Più o meno un ordigno ogni 7 metri quadrati nel paese dominato fino a ieri dai talebani che nella loro ritirata ne avrebbero anche potuto “seminare” altre. Impossibile enumerare i paesi che nascondono appena sotto la superficie del suolo questi strumenti di distruzione e di morte: quasi cento, stando ai dati forniti dal Landmine monitor report 2001 (un rapporto annuale sulla situazione). Dall’Asia all’America, dall’Africa all’Europa. Un elenco che fa impressione. Le mine assicurano di fatto che la guerra continui anche oltre ogni “cessate il fuoco”. Sono sempre lì, in agguato, pronte a ricordare che il nemico colpisce ancora anche quando non combatte più. Attività indispensabili alla sopravvivenza come coltivare la terra, approvvigionarsi di acqua, portare il bestiame al pascolo, camminare lungo un sentiero, diventano così altamente rischiose. Spesso, molto spesso, le vittime sono bambini. E questo aggrava ancora di più la situazione perché, ad esempio, viene meno una futura forza lavoro. Un futuro combattente anche, secondo le mire di chi ha diretto i lavori di “semina”. Inoltre si allungano i tempi e crescono le spese dell’assistenza sanitaria. E d’altra parte come si fa ad impedire ad un bambino che non ha altro che l’aria aperta per giocare di rimanere chiuso in… casa, si fa per dire? Alcuni dati. Il 25 per cento delle vittime da guerra in Afghanistan e Cambogia ed il 75 per cento dei feriti da mina in un ospedale della Somalia, sono bambini. Quelli che riescono a sopravvivere al dissanguamento che tali ferite provoca (meno del 50 per cento) ed hanno la fortuna di arrivare in un ospedale in tempo, per lo più perdono uno o entrambi gli arti inferiori o superiori, riportano gravissime ferite all’addome e ai genitali, perdono la vista o un occhio o comunque rimangono sfigurati. Una sorte che tocca ogni anno almeno a diecimila bambini. Inutile dirlo anche se è assurdo ammetterlo: dietro questo orrore c’è chi ci guadagna. Quello delle mine è infatti un settore del commercio molto prospero che vede tra le principali nazioni produttrici Cina, Cuba, Stati Uniti, Vietnam, Singapore, Turchia, Egitto, India, Iran, Iraq, Russia, Corea del nord, Corea del sud, Pakistan, ex-Jugoslavia. E la comunità internazionale? Deve ancora darsi tanto da fare ma non è proprio che stia a guardare. Un passo importante è la ratifica del trattato di Ottawa col quale gli stati firmatari si impegnano ad impedire ogni produzione, uso, stoccaggio ed esportazione di mine antipersona; distruggere entro quattro anni tutti gli ordigni presenti nei propri arsenali; bonificare le aree minate nel proprio territorio entro 10 anni; fornire assistenza tecnica ed economica per le operazioni di sminamento e assistenza alle vittime. Ad ottobre 2001 gli stati che avevano reso vincolante tale Trattato erano 122; 20 quelli che lo hanno firmato senza ancora averlo ratificato; 52 quelli che non hanno aderito. Redatto nel 1997 ed entrato in vigore il 1° marzo 1999, il Trattato era stato il risultato di un processo avviato dalla “Campagna internazionale per la messa al bando delle mine antiuomo” che aveva impresso così una svolta all’impegno degli stati contro questo crimine. Si trattava infatti non più di una regolamentazione ma di un divieto assoluto dell’uso di queste trappole mortali. A questa convenzione si rifanno tutti gli sforzi della comunità mondiale cui ong e associazioni varie imprimono un’indubbia accelerazione. Numerosi sono gli organismi nazionali ed internazionali impegnati nell’assistenza alle vittime, nell’attività di sminamento, nella sensibilizzazione al problema. Uno sforzo riconosciuto anche con l’attribuzione del premio Nobel per la pace 1997 a Jody Williams, intrepida operatrice in questo campo. In Italia si è costituita nel dicembre 1993 la “Campagna italiana contro le mine”, un’associazione di associazioni tra cui Mani Tese, Pax Christi, Intersos, Medici senza frontiere, Associazione papa Giovanni XXIII, Caritas italiana, per citare solo le più note. Tra i suoi impegni “Afghanistan metro per metro”, un progetto partito nel 1998 e tuttora in corso con un obiettivo: riuscire a sminare almeno i 337 chilometri quadrati ad alta priorità per restituire la terra a più di 5 milioni di afghani che costituiscono il 25 per cento dell’intera popolazione. Con appena 67 centesimi di euro si bonifica un metro quadrato di terra (vedi www.campagnamine. org). Passo dopo passo, dunque, per continuare a camminare coi propri piedi. Qualche cifra Persone uccise nel mondo ogni mese dalle mine: 800 – Persone mutilate ogni mese: 1200 – Prezzo di un arto artificiale: 125 dollari - Costo di una mina: da 2,58 a 18,8 euro – Costo della rimozione di una mina: 25,82 euro – Mine antiuomo attive nel mondo: 120 milioni. (Dati forniti dalla Croce Rossa)

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