Dillo come vuoi, ma dillo

Un signore sale sull’autobus. Saluta. Occhi sgranati, orecchie drizzate degli altri passeggeri. Una signora dice “buongiorno ” alla cassiera di un grande magazzino. Qualche frazione di secondo di stupore prima di un “buongiorno a lei”. Scene di vita quotidiana di una grande città. Ma non solo, a quanto sembra. Se infatti è diventato sempre più raro nelle metropoli odierne “incontrarsi”, cioè non passare indifferenti gli uni accanto agli altri, stupisce e, si potrebbe dire pure, preoccupa che tale atteggiamento venga esportato anche nei piccoli centri. Eppure succede. Me lo conferma Antonio Gregolin che vive a Montegaldella, un paese del vicentino che conta 1400 abitanti. Una di quelle “isole” felici dove tutti si conoscono, verrebbe da pensare. “Non è più così – mi dice -, ormai da qualche anno mi sono reso conto che nonostante le dimensioni ridotte del nostro paese respiriamo l’aria delle grandi città per l’indifferenza della gente che vi abita. Cominciamo a salutarci sempre meno proprio noi veneti che abbiamo avuto il vanto di partorire quel ciao che è diventato un linguaggio globalizzante, il famoso veneziano “sciao tuo” che nel Settecento era in voga per dire “tuo schiavo, al tuo servizio”. A volte può succedere che se dici ciao a qualcuno la gente ti guarda persino infastidita”. Come spesso accade di fronte a qualche situazione che non va bene, se c’è qualcuno che non si rassegna ma cerca il modo di risolverla, può anche succedere che l’idea proposta risulti proprio come quella che tutti si aspettavano. Ed è stato così per il nostro Gregolin, giornalista di professione e presidente di un’associazione, “Il bosco delle fate”, che da dieci anni a questa parte tenta di coniugare la naturalezza, la spontaneità e l’elemento fantasioso. Perché allora non architettare una campagna per salvare questo atteggiamento in via di estinzione quale è il saluto? Ecco a voi la “Campagna del saluto”, oggi al suo terzo anno di vita. “Ho avuto l’idea camminando per le vie del paese – mi racconta -. Una volta c’era la sana abitudine di salutare gli anziani, era un obbligo, Oggi questo non accade più anche perché sono gli stessi anziani a non salutare più i giovani. Basterebbe cominciare con quelli che conosciamo, mi sono detto, per ristabilire un rapporto fra le generazioni. Non voglio dire che si debba girar per la strada e salutare chiunque si incontra. Però si potrebbe cominciare con quelli dello stesso condominio. È il risultato di un grande lavoro prima di tutto dentro noi stessi, dentro la coscienza del nord-est, di questa cultura veneta. Dietro al saluto c’è comunque una comunicazione straordinaria. Come diciamo noi, il saluto aumenta la tua simpatia. Inevitabilmente, lo vediamo quando i nostri amici senegalesi arrivano e ti dicono “ciao fratello”, sprigiona un sorriso. Mica male in tempi come i nostri”. Mi ricorda tra l’altro il mio interlocutore che anche la storia è piena di saluti. A cominciare dall’angelo che si presentò a Maria dicendole “Salve, piena di grazia”; ma chi di noi non ha presente l'”Ave Caesar” dell’antica Roma oppure il “Salute et fraternité” della Rivoluzione francese? La campagna del saluto sta avendo un grandissimo successo, di simpatia prima di tutto e di solidarietà. È stata articolata con manifesti, materiale distribuito nelle scuole, cartoline, un sito Internet. Inizialmente sono state coinvolte 37 delle maggiori amministrazioni comunali venete. Adesso è arrivata al di là dei confini regionali suscitando l’interesse di molte amministrazioni a livello nazionale ed europeo. L’iniziativa si sta quindi professionalizzando per poter rispondere alle varie esigenze. Per il prossimo inizio dell’anno scolastico sono già in fase di produzione un cd musicale e dei gadget da distribuire nelle scuole. La campagna infatti ha nell’elemento educativo una forte componente. Montegaldella nel frattempo ha avuto il vanto di diventare qualche giorno fa il primo paese mondiale dedicato al saluto. L’ha fatto attraverso una delibera comunale, lo fa attraverso l’inaugurazione di un monumento dedicato al saluto. “Di fronte a tanti monumenti insignificanti – commenta Antonio Gregolin – un monumento dedicato a un atteggiamento, un sentimento, un modo di fare è la dimostrazione che il saluto rappresenta lo spirito di una comunità. Come troviamo scritto nello stipite della porta del nostro comune. Il successo della proposta tra l’altro ci dimostra l’esistenza di una sensibilità che non è più latente. Ci fa pensare di aver attuato un’iniziativa che molti pensavano ma pochi hanno avuto il coraggio di proporre. Averla potuta realizzare senza l’apporto di grandi agenzie pubblicitarie nè di grandi finanziamenti vuol dire proprio aver centrato il bersaglio. È quando vediamo che qualcosa viene meno che ci accorgiamo del valore delle cose. Se per capire che per aumentare la qualità della vita dei nostri cittadini dobbiamo ripescare anche questi valori, allora bentornato saluto”. In settembre il battesimo ufficiale con la scritta all’ingresso del paese: “Montegaldella paese del saluto” in ben sei lingue tra cui, di proposito, l’arabo e l’israeliano. Un modo per far riflettere sulle piccole, grandi cose della nostra esistenza! E a proposito di questo un sogno. “Sono stato di recente venti giorni in Medio oriente – continua il presidente del “Bosco delle fate” (tra l’altro scampato fortunatamente a uno degli ultimi attentati) -. Inevitabile pensare a quanto sia difficile per quella gente potersi scambiare due semplici parole, da una parte shalom dall’altra salam. Ecco la forza del saluto: se tornassero loro a salutarsi sarebbe davvero un grande passo avanti per l’umanità”. QUELLA BAMBINA POLACCA “Era per noi una speranza! Un qualcosa di grande e forte, poter vedere quella bambina polacca che ci salutava ogni giorno. Nel 1943 la Polonia di Hitler, divenne la nostra prigione: sporchi, pieni di pidocchi e malattie incatenati come cani, percorrevamo ogni giorno la stessa identica strada. Ma ogni giorni quel qualcosa di diverso era lì ad aspettarci, guardarci e salutarci! Aveva il volto dolce di una bambina bionda che alzava la sua manina. Quasi un angelo. Lei però non sapeva quanto desiderassimo vedere quel suo fare. Non immaginava quanto la sua presenza fosse una speranza per tutti noi. Attendavamo con ansia ogni giorno quel nostro incontro, fatto a distanza. La sua era la forza semplice di una bambina che si scontrava con l’assurdità dei grandi, dei forti.Aspettavamo che la piccola ci salutasse per continuare a nutrire la nostra speranza di vita!”. Mario Rigoni Stern CIAO A MADRE TERESA “Ho visitato con Madre Teresa la sua comunità, a Roma, nella quale curava e assisteva malati di Aids. Eravamo nel dicembre 1996. Piccola, magrissima, un volto con un po’ di pelle attorno alle ossa. Quattro chili in tutto, diremmo noi. Mi ha salutato, tenendo la mia mano tra le sue, rosario compreso. Pregava sempre! Non ricordo niente di quanto hanno dichiarato gli altri presentandomi, e non ricordo nemmeno se Madre Teresa ha detto qualche cosa a me. “Ho guardato le mani secche come le foglie di castagno in autunno. Ho guardato i suoi occhi quasi nascosti dalle palpebre, piccoli, ma terribilmente intensi. Ho incontrato persone importantissime e mitiche. Da Giovanni XXIII, a papa Giovanni Paolo, a Tonino Bello, all’Abbé Pierre, a Levi Montalcini, a Gorbaciov, a Muti, a san Giovanni Calabria, a padre Pio e altri ancora. “Nessuno ha lasciato dentro di me il segno come Madre Teresa, quasi una cicatrice. Perché non lo so. Ricordo che imbarazzato e fortemente affascinato, ho solo detto quello che dico quando incontro amici: “ciao”. Dopo, poco dopo, rimpiangendo l’occasione perduta, mi sono sussurrato “Quanto sei stupido!”. “Durante i funerali visti in diretta su molte televisioni, a un certo punto ho sorriso. “Un prete, vicino a me, si voltò, come per rimproverarmi” Continuai a sorridere. “Ripensavo quell’incontro e al ciao detto a Madre Teresa. Chissà se ricorderà, lassù” quel freddo mattino di dicembre e quel prete un po’ svampito”. Antonio Mazzi

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