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Difesa comune e piano di riarmo, intervista a Marco Tarquinio

a cura di Carlo Cefaloni

Carlo Cefaloni

Dialogo con l’ex direttore di Avvenire, parlamentare europeo, eletto nel giugno 2024 come indipendente del Pd, che si è schierato contro il ReArm Europe e ha votato no all’attuale Politica di sicurezza e di difesa comuni della UE

Abbiamo conosciuto Marco Tarquinio nei lunghi anni in cui ha diretto il quotidiano Avvenire, espressione della CEI, seguendo una linea coraggiosa, lontana da ogni paludamento curiale, in profonda consonanza con papa Francesco.

Affrontare le contraddizioni e incomprensioni è il prezzo da pagare quando si fanno scelte che vanno contro controcorrente. Una sfida che si fa ancor più difficile se si passa il confine dell’impegno politico diretto, con la relativa assunzione di responsabilità personale e collettiva di fronte a questioni laceranti che non possono restare eluse.

Come è noto Tarquinio è stato eletto deputato al Parlamento europeo senza avere alcuna organizzazione di partito dietro le spalle. All’interno del gruppo dei Socialisti & Democratici continua ad esprimere senza cedimenti, così come Cecilia Strada, una linea indipendente, secondo coscienza, spesso contrapposta ad altri eletti del Partito democratico, in maniera particolare sulla grande questione della guerra e del riarmo.

Al momento della definizione della nuova “maggioranza Ursula” al vertice della Commissione europea, Tarquinio ha votato la sua fiducia a Von der Leyen sulla base di un programma di tipo europeista, sostenuto da una vasta maggioranza che comprende, stavolta, pure i Verdi, per la necessità di contenere l’avanzare dei partiti di destra, anche estrema. I problemi sono insorti con la presentazione della “mission” dei commissari europei, quando cioè si è trovato di fronte a parole e progetti che non poteva condividere perché già improntati al ReArm Eu, il grande progetto di Riarmo europeo che, invece, come abbiamo visto nelle interviste a Ceccanti e Pombeni, attira il consenso in particolare di alcuni ambienti cattolico-democratici. 

Abbiamo, perciò, chiesto un’intervista a Marco Tarquinio che sta vivendo la “terza fase della sua vita”, come dice, con molto impegno, non sottraendosi a incontri grandi e piccoli in tutta Italia, promossi dal mondo associativo, ma anche da sempre più circoli del Pd, che esprimono l’esigenza di un vero dibattito sui grandi temi.

Cosa non la convince del piano di riarmo europeo promosso dalla Commissione Ue?
La prima critica da fare riguarda l’utilizzo da parte della presidente Von der Leyen dell’articolo 122 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea, che esclude del tutto il Parlamento Europeo dal processo di definizione del piano di riarmo, che è e resta tale, anche se si deciso di cambiargli il nome. Una scelta molto grave. Entrando nel merito, partirei dall’ossessione di garantire finanziamenti al complesso militare-industriale tramite addirittura una banca dedicata, con l’incentivo alle banche private e con la modifica dello statuto della Bei, la Banca Europea degli Investimenti, che a tutt’oggi vieta il finanziamento del settore delle armi. Scelte che rivelano l’evidente contrasto di questa operazione con i principi fondativi dell’UE.

Il riarmo da 800 miliardi di euro entro il 2030 viene presentato come necessario per attuare una politica di difesa europea non più rimandabile. Quale è il problema?
Parliamo di una concezione di difesa europea focalizzata esclusivamente sull’aspetto militare, trascurando la dimensione civile e nonviolenta della sicurezza, espressamente riconosciuta dall’ordinamento italiano e radicata nello spirito dei Trattati europei. La difesa si esercita anche attraverso la costruzione di relazioni attraverso la politica estera, la diplomazia, la cooperazione internazionale e i rapporti commerciali. La sicurezza si costruisce anche sul piano sociale e della mitigazione degli effetti dei cambiamenti climatici. Così come è presentato, il piano di riarmo non è purtroppo orientato alla costruzione di una vera e articolata difesa comune europea, ma – come rivela l’urgenza invocata – somiglia piuttosto a una mobilitazione per sostenere le guerre in corso, aprendo alla possibilità anche di un impiego diretto di truppe europee. Di fatto, con il superamento delle regole costituzionali tedesche sull’indebitamento, il vero riarmo sarà soprattutto quello della Germania, il Paese in cui Von der Leyen è stata per diversi anni ministro della Difesa. Un processo inquietante, e ancor di più per l’ascesa di un’estrema destra tedesca di stampo etno-nazionalista e con al proprio interno aperte nazi-nostalgie. 

L’urgenza del piano di riarmo è strettamente collegata con l’approccio dell’Unione Europea al conflitto in Ucraina e al sostegno militare offerto in questi anni a Kiev sotto la spinta degli Usa di Biden. Una scelta non sostenuta già sulle pagine di Avvenire. Per quali ragioni?
Le anomalie sono evidenti se si prende atto del punto in cui ci troviamo dopo oltre 3 anni di guerra, condotta da Putin coi suoi arsenali e i corpi dei più poveri della Federazione Russa, e dagli occidentali con le nostre armi e i corpi degli ucraini… IL bilancio è zeppo di massacri e devastazioni, ma anche di tonnellate di propaganda e non c’è stato nessun progresso verso una pace giusta. È partita male anche la trattativa diretta con la Russia avviata da Trump senza l’Ucraina. Un tavolo dalle gambe storte per porre fine a una guerra per procura, brutalmente voluta da Putin e premeditata anche dagli Usa. È terribile e mistificante la narrazione che si continua a diffondere circa la volontà unanime degli ucraini di continuare a combattere “fino alla vittoria totale”, ignorando la stanchezza e le profonde ferite della popolazione e la forza, anche nucleare, dell’avversario.

Poteva andare diversamente?
Occorre ricordare che nel 2022, esisteva in Ucraina una società civile disposta e motivata a intraprendere forme di resistenza civile nonviolenta contro l’invasione russa. Un’intenzione forte, che è stata militarizzata con gli esiti disastrosi di ogni guerra e ancor di più di tutte quelle combattute dal 1945 a oggi…

Lo sdoganamento culturale del riarmo è avvenuto dopo l’invasione del 24 febbraio 2022 che ha suscitato l’adesione spontanea alla resistenza armata e il conseguente invio di armi all’Ucraina. Una china inevitabile…
L’invasione russa del 24 febbraio 2022, come ogni invasione, da chiunque organizzata e condotta, è un gravissimo atto di violenza, ma la prosecuzione dell’invio di armi non è mai stata e non deve continuare a essere l’unica risposta possibile. Dopo tre anni di conflitto non si è fatto un passo avanti verso una soluzione politica e diplomatica, mentre resta aperto il rischio di escalation militare incontenibile. 

Cosa risponde a chi afferma che senza una forte capacità militare l’Europa non può esercitare il suo potere e difendere i suoi interessi?
Dico che serve una “forte difesa” per l’Europa, ma questa va intesa – ripeto – come un sistema articolato e complesso, con “due braccia”: una militare non aggressiva e una civile nonviolenta, quest’ultima basata sulla politica, la diplomazia, la dedizione di corpi di pace. Riguardo alla dimensione militare, occorre aver presente che gli Stati membri dell’UE nel settore della Difesa già spendono complessivamente più della Russia, che è da tre anni in economia di guerra. Lo dimostrano gli studi di un economista come Carlo Cottarelli che, pure, ha sostenuto le liste di Azione alle Europee, un settore politico che non si può definire pacifista. Se poi aggiungiamo a questo bilancio, i dati extra-UE della Gran Bretagna, della Norvegia e della Turchia, che schiera il secondo esercito della NATO, tra l’altro impegnato su teatri di guerra reali, arriviamo a 730 miliardi di dollari internazionali complessivi. Sono convinto che un serio processo di costruzione della difesa comune europea possa portare a economie di scala, liberando risorse finanziarie da impegnare in altri settori invece di risucchiarne sempre più per gli eserciti nazionali.

Le cose, tuttavia, vanno in direzione opposta come dimostra il fatto che si sia arrivati all’uso di mine antiuomo e bombe a grappolo nel contesto del conflitto ucraino…
Una tragedia nella tragedia. Ho espresso anch’io – e sono contento che pure il Pd lo abbia fatto – una forte opposizione alla volontà, emersa nel dibattito parlamentare europeo, di giustificare l’accumulo e lo schieramento di mine antiuomo e bombe a grappolo da parte di alcuni Paesi “frontalieri” della UE con il pretesto che tali ordigni sono già utilizzati dalla Russia. Putin le fs usare, come Zelensky, e gli Stati Uniti – che ha loro volta ne dispongono – le hanno fornite all’Ucraina. Occorre ricordare che purtroppo tutti e tre questi Stati – Russia, Ucraina e USA – non hanno ratificato le convenzioni internazionali di messa al bando di queste armi che sono tra le più indiscriminate e dannose per militari e civili. Una volta che si legittima di nuovo il loro possesso e utilizzo, si apre la strada alla giustificazione di strumenti ancora più distruttivi come le armi chimiche e batteriologiche.

Qual è il futuro dell’Europa sulla scena globale, in relazione alle questioni di difesa e politica estera?
Occorre, a mio parere, mantenere una visione europeista che ponga al centro la politica di pace. Solo in tal modo l’Europa può tornare a essere protagonista sulla scena globale, agendo in modo autonomo e coerente con i suoi princìpi fondativi di pace e cooperazione. In sostanza l’Europa non può limitarsi a seguire le logiche di guerra altrui, ma deve sviluppare una sua politica estera incisiva, quella difesa “a due braccia” di cui parlo da una vita. Costruire uno strumento comune significa ovviamente affrontarne i nodi e gli snodi politici. Non possiamo delegare la Difesa ai tecnici. Anche se i vertici delle forze armate dei diversi paesi europei hanno costruito una mentalità comune in decenni di frequentazione nella Nato, anzi forse proprio per questo. Perché ci sia uno strumento militare non aggressivo, realmente difensivo, deve esserci una forte direzione politica concorde, che oggi purtroppo non esiste.

Pensiamo, poi, ai satelliti artificiali, tipiche tecnologie a doppio uso, militare e civile. Oggi siamo dipendenti dagli Stati Uniti d’America che, a loro volta, hanno appaltato una parte enorme di quel sistema a un ormai semi-privato: Elon Musk. Proprio lui, il super miliardario suprematista che ha gettato la maschera e ha la pretesa di ingerirsi sul funzionamento delle nostre democrazie.

Come dovrebbe essere declinata la dimensione militare in tale visione?
Ho qualche idea anch’io sull’articolazione di un Esercito, una Marina e un’Aeronautica comuni, ma vorrei un disarmo istantaneo e desidero insistere sul tema del freno al riarmo e su quello del disarmo razionale e bilanciato. È importante, inoltre, ribadire che per l’Europa l’uso aggressivo della forza non è un’opzione e che non possiamo più rinunciare a sviluppare una politica e un sistema di difesa autonomi, in modo da non dipendere dai calcoli e dalle oscillazioni politiche di altri attori globali, a partire dagli Stati Uniti.

Allo stesso tempo sarà sempre più necessario mantenere aperti i canali di dialogo, anche con attori politici percepiti come avversari, perseguendo soluzioni politiche e diplomatiche ai conflitti fomentati da una visione sorpassata di un Occidente solo contro tutti, veicolata dal modello Trump e dalle destre nazional-sovraniste.

Mi sembra che la realtà parli e gridi forte, ma devo prendere amaramente atto che la questione non è chiara anche ad alcuni che si rifanno al pensiero cattolico-democratico. Eppure non si può continuare a ragionare come se fossimo inchiodati a poco oltre la metà del secolo scorso. E già allora era finita un’epoca, tanto che nel 1963 papa Giovanni XXIII aveva cominciato a dirci che non esisteva più la possibilità di legittimare moralmente la guerra in ragione della immane potenzialità distruttiva delle armi a disposizione dei vertici dei diversi governi. Il magistero di tutti i Papi del Novecento e quello, netto e instancabile, di Francesco non lasciano dubbi in proposito.

Sulla questione di ReArm Eu vedi anche il focus dedicato.

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