Matera, riscatto di una comunità

Appunti di un “emigrato” innamorato della sua città dichiarata Capitale europea della cultura 2019

Finalmente ci siamo: il 19 gennaio alla presenza del presidente Mattarella e in eurovisione, si inaugura l’anno di Matera Capitale europea della cultura. Centinaia di eventi, si alterneranno nella città dei Sassi fino al prossimo 20 dicembre.

Tutto è iniziato il 17 ottobre 2014. Era un venerdì e, intorno alle 18, anch’io ero collegato via Internet, dal mio ufficio a Roma, quando l’allora ministro Franceschini proclamò la città italiana che sarebbe stata la Capitale Europea della Cultura 2019. Quando pronunciò il nome di Matera, non riuscii a trattenermi e mi sono commosso. E più guardavo l’entusiasmo incontenibile dei materani collegati dalla piazza principale e più facevo fatica a trattenere le lacrime.

Sono partito dalla mia amata città nel 1988. Prima per motivi di studio e poi di lavoro. Dal 1990 vivo e lavoro a Roma come produttore creativo per una società che produce film e fiction televisive, ma continuo a sentirmi materano nelle viscere (a mia moglie, pisana, e ai miei 4 figli, romani, insegno il dialetto e l’amore per la mia città). In famiglia, i miei amici, i miei colleghi mi prendono tutti costantemente in giro per questa orgogliosa rivendicazione delle mie origini che non perdo occasione di sottolineare.Noi materani sentiamo molto forte il senso di appartenenza e di identità. Forse perché ci sentiamo diversi rispetto agli altri.

Capodanno: Matera 2019 ha brindato al 2015 con festa europea

Siamo diversi dai pugliesi (nonostante la prossimità con la provincia di Bari che dista una quindicina di km) e siamo diversi dai potentini, nei confronti dei quali soffriamo un complesso di subordinazione originato dall’impressione (spesso motivata) di sentirci penalizzati rispetto al nostro capoluogo di regione. Di sicuro siamo una città che è stata trascurata: tagliata fuori dalle principali arterie stradali e priva, ancora oggi, della ferrovia dello Stato. Questo “isolamento”, ci ha uniti nel corso della nostra storia millenaria. E non è un caso se apparteniamo a una regione, l’unica del Sud, che non è inquinata dalla criminalità organizzata.

E pur nell’orgoglio della civiltà contadina che ci appartiene, portiamo sempre addosso le stigmate di quella affermazione che alcuni attribuiscono a Togliatti, altri a De Gasperi, di “Matera vergogna d’Italia” pronunciata negli anni ’50, quando Roma scoprì le condizione igieniche in cui viveva la gente nei Sassi.

Una veduta dei Sassi di Matera in una foto di archivio.
Una veduta dei Sassi di Matera in una foto di archivio.

Ricordo i miei parenti con quanta fretta si sono liberati, non appena ne hanno avuto la possibilità, di quelle case-grotta in cui vivevano in una decina di persone più gli animali domestici. Case che oggi, opportunamente ristrutturate, sono un invidiato esempio di bellezza rupestre. Eppure, se parlate con un materano adulto, non potrà non rimpiangere quella dimensione di vita poverissima ma che aveva una ricchezza oggi molto rara: il senso della comunità. L’idea che da soli non si va da nessuna parte e che tutti insieme possiamo raggiungere grandi obiettivi. Se parlate con loro, sentirete parlare con nostalgia del “vicinato” (“u vcinet”), che sta ad indicare il senso di famiglia allargata tra coloro che vivevano in abitazioni attigue. I figli si crescevano insieme, i panni si lavavano “al fontanino” insieme, la vita dei campi era vissuta in comunità.

Una veduta dei Sassi di Matera, 23 aprile 2009. ANSA/ MARIALUISA DI TULLIO

Ricordo con grande emozione quando ero ragazzino, nei primi anni ’70, e arrivava novembre. Mio padre, come tanti altri trentenni dell’epoca, da contadino si era trasformato sull’onda dell’entusiasmo industriale in operaio, ma continuava nei fine settimana e nel tempo libero a coltivare la terra. Ebbene, a novembre si faceva la raccolta delle olive. Tutta la famiglia “estesa” vi partecipava. I fratelli, le cognate, i cugini… e noi figli. Si iniziava dagli alberi di una famiglia e si proseguiva finché non si raccoglievano le olive degli alberi di tutte le famiglie partecipanti. Noi eravamo bambini e ricordo come un meraviglioso incubo quando ci svegliavamo alle 5 del mattino per andare in campagna. Arrivavamo che continuavamo a dormire in piedi, ma sapevamo che ci aspettava un momento speciale. Ci riunivamo tutti intorno al fuoco che gli zii avevano acceso e lì, mentre il silenzio progressivamente veniva profanato dal buon umore e dalle canzoni contadine, ci preparavano la “fedda rossa” (la bruschetta).

Direte voi: «Vabbè, e che c’è di speciale?». E no, quella “fedda rossa” era un capolavoro perché non era fatta solo con l’inarrivabile pane di Matera, i nostri pomodori, il nostro olio… ma rappresentava il senso della comunità, dello stare insieme, del mangiare insieme, del sorridere insieme, del cantare insieme, del lavorare insieme. Sembrava tutto magico e l’incubo del risveglio traumatico quando ancora era notte si trasformava, per noi bambini, in un sogno meraviglioso che continuava poi con le corse e i giochi nei campi con fratelli e cugini.

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Ecco perché anch’io quel 17 ottobre mi sono commosso. Ho ripensato a quella che continuo a considerare la mia gente, anche se sono ormai più di 30 anni che non vivo più a Matera (sebbene vi ritorni regolarmente a trovare amici e parenti). Ho ripensato alle umiliazioni che abbiamo sopportato (troppe volte quando dicevo che ero di Matera, gli interlocutori non sapevano dove fosse), al nostro desiderio di proclamare al mondo la nostra identità, all’esigenza di riscatto di un popolo lavoratore indefesso (il simbolo della città è un bue), che mi ha insegnato il valore della sofferenza, dell’onestà, del rispetto, dell’educazione, della fede… E così ho sperato, come tutta la città, che questa fosse davvero l’occasione della svolta. Una opportunità irripetibile per mostrare chi eravamo e cosa siamo capaci di fare. Ho immaginato la ferrovia, le strade, i parcheggi, il lavoro, la crescita culturale, la rivalutazione sostenibile del territorio, la prospettiva di costruire un futuro solido per Matera e i materani. Ho sognato una città capolavoro del Sud, simbolo di accoglienza, efficienza e, perché no, benessere.

I 5 anni sono passati. Sono stato a Matera per le feste di Natale e ho visto tanti cantieri, tanta attesa, una grande fibrillazione. Ho avuto anche la sensazione netta di una piccola occasione persa, un po’ per imperizia, un po’ per opportunismo politico (avremmo potuto davvero rivoltare la città come un calzino e renderla un gioiellino), ma non posso non continuare a sperare che questo anno sia il primo passo verso un futuro migliore per quei contadini e i loro figli che, pur tra mille tentazioni, ancora oggi sanno ritrovarsi intorno al fuoco per il rito della “fedda rossa”…

Maltempo: Basilicata al gelo, imbiancati i Sassi di Matera

Si dice che quando la Commissione europea, deputata a scegliere la città vincente tra le candidate, sia arrivata a Matera, i materani abbiano avuto un’intuizione geniale: ospitare i membri della suddetta commissione, non negli alberghi ma nelle famiglie. Non ho ancora capito se si tratti di una leggenda metropolitana o se corrisponda al vero, ma di una cosa sono certo e cioè che questi rappresentanti europei, giunti nel cuore della civiltà contadina, non abbiano potuto non constatare il senso di famiglia e di comunità dei materani. Hanno incontrato persone “vere”. Spero che i miei concittadini sappiano custodire questa identità e non si lascino corrompere dal bagliore tentacolare che il 2019 promette di riservare alla città dei Sassi.

Forza Matera!

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