Decreti-legge o Parlamento?

Parlamento
Recenti dichiarazioni del presidente del Consiglio hanno rinfocolato un dibattito su un punto nodale del nostro sistema istituzionale: il rapporto governo-Parlamento. È mia intenzione procedere con decreto-legge in ogni materia che riterrò necessaria , ha affermato Berlusconi. La cosa ha suscitato, oltre alle reazioni dell’opposizione, anche la presa di posizione del presidente della Camera, Fini, che ha messo in guardia il governo da eventuali abusi. Il tema non è nuovo. Possiamo considerarci entrati in un sistema presidenziale di fatto da molto tempo, ormai. Lo dicono i dati. Nella legislatura passata, quella del governo Prodi, delle 112 leggi approvate, solo 13 erano d’iniziativa parlamentare; il resto è dovuto al governo e, se escludiamo le leggi di ratifica dei trattati, l’incidenza dei decreti-legge si avvicina al 50 per cento. Niente di nuovo sotto il sole, quindi? Non proprio. Intanto, si registra un peggioramento della tendenza: su 14 leggi approvate sinora, 12 sono di conversione di decreti-legge, una è d’iniziativa governativa (lodo Alfano) e l’altra è la (ricorrente) istituzione della Commissione antimafia; in più, sono all’esame altri 11 decreti-legge. Ma soprattutto fa pensare il dato di linea politica registrato sopra: lo spostamento di asse verso il governo diventa sempre più intenzionale e, chissà, forse rispondente ad una opinione diffusa. Se a ciò aggiungiamo che il dialogo mancato tra le parti ha determinato l’eclissi parlamentare dell’opposizione, la domanda – insidiosamente qualunquista – si affaccia: ma questo Parlamento, a che serve? La sua crisi è evidente. E può andar bene questo stato di cose a cittadini e parlamentari? Riguardo ai cittadini, a giudicare dall’elevato gradimento che il governo registra nei sondaggi, sembrerebbe che non dispiaccia per nulla un piglio governativo decisionista. E lo si capisce. Di certo agisce ancora il trauma derivato dall’esperienza dell’immobilismo rissoso del passato governo e la voglia di rimuoverla. Ma se queste legittime aspettative si traducessero in una delega in bianco (seppur democraticamente conferita attraverso il voto) al governo perché decida, vedremmo scricchiolare le fondamenta della democrazia. E i parlamentari? Troppo poco si sente la loro voce. È necessario che tornino ad interrogarsi sul loro ruolo, sul quale pesa come un macigno il fatto che, prima di essere eletti, sono nominati dalle segreterie politiche. Guardare al Paese, e non solo al capo del partito, consentirebbe loro di concorrere a restituire al Parlamento la sua piena dignità istituzionale, come previsto dalla Costituzione.

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