Damiano, l’altro scudetto

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“Ciao a tutti: il nuovo dono del Cielo, Susanna è tra noi!!!”. L’annuncio della nascita della terza bimba: è questa la news di apertura del suo sito Internet. Che vi conduce poi tra appelli contro la lapidazione di Amina, un progetto di “pallone equo” per fermare lo sfruttamento minorile in Pakistan, il sostegno ad una casa famiglia per ragazze madri, una maratona al Polo Nord per portare l’attenzione sui disabili mentali e i “sogni” alla Martin Luther King: “Creiamo una cultura sportiva che sappia accettare la sconfitta” che premi il bel gesto tecnico e lo spettacolo e non la polemica” sogno uno stadio intero applaudire i vincitori perché più bravi, senza badare ai colori della maglia””. L’incontro con Damiano, chiusa l’annuale abbuffata di titoli cubitali sul calcio, ha il sapore raro della normalità, segnato dalla sua naturale riservatezza, ma anche dalla disponibilità e pacatezza nel- le risposte, dal sorriso incorniciato dalla sua barba nera, inusuale sui campi di calcio, dalla radicata nonviolenza del carattere prima ancora che delle idee. Come hai vissuto l’arrivo di Susanna? “Come le altre, come una gioia che ci è stata regalata, a me ed a mia moglie, e stavolta anche alle altre due sorelline Camilla e Beatrice. Speriamo di riuscire a darle quello che lei si aspetta da due genitori”. Una preoccupazione svelata da Beatrice quando a scuola ha raccontato: “Mio papà non lavora, lui gioca a calcio!”. Che effetto fa vivere sempre sotto i riflettori: “Personalmente mi disturba essere al centro dell’attenzione per il calcio, mi interessa molto di più esserlo per altri aspetti. Mi sconcerta che oggi si discuta più per un rigore negato che per l’aumento delle tasse, la mancanza di servizi o per le grandi ingiustizie sociali. Da parte mia, cerco di dirottare l’attenzione di cui sono oggetto sui temi impegnativi che di solito si cerca di scansare”. Bisogna ammettere che il mondo economico, i media in particolare, hanno trovato nel calcio, e nella passione di milioni di italiani che lo alimenta, un terreno fertile: “Nessuno ha interesse a smorzare le passioni del calcio: una polemica, attizzata perché un giocatore sta in panchina anziché in campo, garantisce vendite del giornale per altri due o tre giorni. Così come dare spazio sui giornali ai giocatori non solo per il loro valore sul campo, ma per la vita mondana che alcuni fanno. E così si trascurano figure di giocatori di valore, non solo in campo, ma anche fuori, laureati, con una famiglia solida, sana, con una maturità spesso maggiore, nonostante le apparenze, dei coetanei non calciatori. Perché non dare spazio al fatto che dentro quelle magliette che corrono sul campo ci sono anche sentimenti, ricordi, scelte della vita di tutti i giorni?”. Damiano riconosce che i calciatori hanno una responsabilità primaria nell’alimentare una certa immagine di sé: “L’aspetto più vero del calcio siamo noi giocatori: fra noi ci conosciamo tutti e c’è rispetto reciproco, in campo e negli spogliatoi, ma occorre mostrarlo di più a quelli che ci seguono, alimentando così una sana cultura dello sport”. Da più parti si reclama, provocatoriamente, una cultura della sconfitta: cosa si può fare per farla crescere? “Sono abituato a giocare ed a vincere: il vero cardine di ogni competizione è il misurarsi. Ci deve essere un vincitore ed uno sconfitto. Si è immaginato di ridurre gli sconfitti da 17 a 14, portando a quattro le squadre in Champions League, ma si continua a pensare che le altre abbiano fallito. Occorre rivalutare la figura dello sconfitto: le mie sconfitte sul campo mi lasciano, ci lasciano, soprattutto la voglia di scendere in campo subito, di fare un” terzo tempo: è questo che dobbiamo rivalutare “. Per vincere a tutti i costi sembra che i nostri club prediligano i campioni stranieri a discapito di molti giovani italiani di valore. “Il problema è il costo, non la bravura: all’estero si trovano giocatori già formati che costano meno dei giocatori da formare qui in Italia e che, tante volte, hanno maggiori motivazioni dei nostri giovani: è un rimprovero collettivo che dobbiamo farci, quello di non riuscire a far capire che per ottenere qualcosa occorre fare sacrifici”. A segnare la maturità umana prima ancora che calcistica di Damiano è stata la figura di don Milani scoperta da Tommasi quando ha fatto l’obiettore alla Caritas: “Conoscere don Milani è stata una fortuna! E così i suoi messaggi, chiari, pieni di senso, l’esortazione a sentirsi protagonisti, a fare proprio il motto “I care” per sentirsi cellule attive in questo mondo”. Rifletto ancora sulle sue parole quando esco dal silenzio ovattato, quasi da culto laico, del ritiro della Roma, tra sponsor che regalano orologi per rubare una foto col campione ed un grappolo di tifosi giapponesi che mi chiedono l’autografo ai cancelli.

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