Dal “precariato affettivo” al “per sempre”

Visto che tutti convivono prima di sposarsi, la Chiesa sostiene ancora il fidanzamento? Marcella

Nel 2009, secondo un’indagine sulla preparazione al matrimonio in Italia, al Sud convivevano circa il 6%, dei fidanzati,mentre la diocesi di Grosseto era quella con più passeggini e carrozzine fra chi si avviava alle nozze. Oggi i numeri sono diversi: al Nord si sta sfiorando il 100% di conviventi e in molte zone del Sud sono più di un terzo.Eppure ad amare si impara gradualmente: c’è ancora bisogno del tempo di fidanzamento.La convivenza come “prova” della vita coniugale non regge, anzi l’amore si consuma e fa arrivare al matrimonio più infiacchiti. Ci si offre tutta la quotidianità, ma manca il dono più prezioso: il proprio futuro. In chi convive non c’è mai stato infatti un chiaro atto con cui consegnarsi alla persona amata attraverso una “promessa”. Va però considerato che spesso la sensazione di sentirsi soli paralizza.C’è infatti la paura del “per sempre” che, in una sorta di “precariato affettivo”, soffoca i sogni dei giovani, mescolandosi anche con oggettive difficoltà legate alla mancanza di un lavoro, alla crisi economica e sociale di un Paese che non sostiene i legami familiari, per cui si rimane eternamente aperti ai passaggi da un affetto a un altro. Se è vero allora che i conviventi hanno reso pubblico il loro amore, ma nello stesso tempo hanno manifestato dubbi e paure nel vivere in pienezza quella relazione, in che modo mostrare il sacramento coniugale come chiamata a libertà?Si tratta di essere una Chiesa capace di attrazione (cfr. EG 14) annunciando la bellezza del matrimonio attraverso le tante belle “chiese  domestiche” che la compongono (cfr. AL 87).

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