Dal mare libero alle oasi protette

Arrivano le app, ma possiamo rinunciare al web? Come cambia la Rete… e noi.
i-pad

L’estate 2010 della Rete è stata agitata dall’annuncio, fatto dall’edizione statunitense della rivista Wired, della morte del web. Con questa parola si intende la ragnatela di siti che normalmente visitiamo quando navighiamo in Internet, utilizzando sul computer di casa o di ufficio uno dei tanti strumenti a disposizione (browser).

La rivista faceva notare come le nostre abitudini stiano cambiando velocemente: se abbiamo un telefonino di ultima generazione, o una tavoletta tipo i-pad, la fruizione dei servizi che ci interessano – posta elettronica, reti sociali come Facebook o Twitter, film via Netflix, telefonate via Skype e così via – non avviene più tramite un browser, ma utilizzando “applicazioni” dedicate, le famose app, che appaiono sullo schermo come tante piccole icone colorate, ognuna diversa dall’altra. Tre volte su quattro, infatti, per entrare nel mondo di Internet non digitiamo più il famoso “www”, ma tocchiamo la app che ci interessa.

 

La differenza non è banale: ogni app, costruita da uno specifico fornitore, offre una serie di servizi veloci, privati ed esclusivi, mirati alla categoria di utente desiderato. Dentro le app, per esempio, il famoso motore di ricerca Google non c’è, così come non c’è Wikipedia, l’enciclopedia costruita con i contributi degli utenti. Se entro in una app, quindi, non sono distratto da altre cose come nel web, dove la navigazione assomiglia ai rimbalzi in parte casuali di un sasso lanciato di taglio sull’acqua. E infine, particolare importantissimo, non attivo le app con il mouse, ma con le dita, toccando lo schermo. Niente di più semplice, eccitante, intuitivo e naturale.

 

Una mezza rivoluzione, quindi. Addio mare indistinto di Internet: il futuro sono tanti “laghetti privati”, uno più bello dell’altro, ma non collegati tra loro? Dalla prateria selvaggia (e senza regole), con mandrie di bufali e indiani che corrono liberi dove vogliono (il web), stiamo forse per passare all’allevamento intensivo al riparo del filo spinato dei ranch.

Infatti le app, ma anche Facebook, gestiscono i contenuti come vogliono, stabilendo le regole senza controllo “democratico” da parte dei naviganti, per cui saremo condizionati dalla volontà di chi offre il servizio. I pubblicitari, dal canto loro, sperano in guadagni maggiori perché potrebbero così profilare (e fidelizzare) i visitatori, facendo quindi pubblicità mirata.

 

La realtà, comunque, è che la novità tira ed è tutto un pullulare di nuovi servizi, mentre Facebook cresce più velocemente di Google. Qualcuno conclude che stiamo passando dalla “rete della conoscenza” (basata sui motori di ricerca) alla “rete della socialità e delle relazioni”. Qualcun altro ironizza sul fatto che ormai il Grande fratello non è più in tv, ma in Rete, dove ognuno, dal politico al salumiere, dalla professionista attempata alla quindicenne, “deve” mettere in mostra tutto quello che fa, che dice e che pensa.

Un’alluvione di blog, messaggi e messaggini che pochi leggono, ma che rivela il bisogno prepotente di contatto, di rapporto, di contare qualcosa per sentirsi vivi. Eppure è proprio questo che rende il web insostituibile: la libertà di essere sé stessi, nel bene e nel male, di costruirsi e mettersi in relazione con chiunque, insieme al fatto che alla base ci sono soprattutto motivazioni non commerciali. Ci ha fatto sperimentare, infatti, la gratuità, la condivisione e la libera cooperazione su larga scala. Permette trasparenza e controllo dei potenti: vedi, per fare solo un esempio, la controversa iniziativa di Wikileaks, il sito contro la militarizzazione delle nazioni, che ha messo in Rete 400 mila documenti riservati sulla guerra in Iraq, scoperchiando un mondo di violenze, torture e connivenze.

 

Il web aiuta anche la battaglia per la libertà della cultura contro tutti i recinti (compresi i copyright) che la vogliono imbavagliare. Ci ha offerto (per la prima volta nella storia?) la possibilità di diffondere idee, discuterle, confrontarci, collaborando per iniziative locali e globali. Ci ha dimostrato che il mondo è collegato, e la famiglia umana può essere una sola. Una delle caratteristiche più interessanti del web, infatti, è proprio questa: si possono fare esperimenti di “come sarebbe la società se…”.

È chiaro, il virtuale da solo non basta, e a dosi troppo elevate può anche diventare una malattia: cerchiamo allora di cambiare in meglio anche il reale, sfruttando l’influenza crescente che i due mondi hanno l’uno sull’altro. Per fortuna siamo fatti per rapporti reali, con persone in carne ed ossa che ci guardano negli occhi e sorridono. Vanno bene, quindi, le app, va bene anche il web che non vogliamo perdere, ma, per favore, dateci anche un bel solido “muretto”, dove sedersi a chiacchierare con gli amici.

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