Così pregava: «Abbà, Padre!»

Qui si entra nel cuore di Dio.
Arte

Questa volta parleremo ancora di preghiera: è il respiro della nostra anima, l’ossigeno di tutta la nostra vita spirituale, l’espressione del nostro amore a Dio, il carburante di ogni nostra attività.

Ma di quale preghiera tratteremo?

Di quella che – con le infinite e divine ricchezze che contiene – è tutta racchiusa in una parola, in una sola parola, che Gesù ci ha insegnato e lo Spirito ha messo sulle nostre labbra.

Ma veniamo alla sua genesi.

Gesù pregava, pregava il Padre suo. Per lui il Padre era “Abbà” e cioè babbo, il papà, cui egli si rivolgeva con accenti di infinita confidenza e di sterminato amore. Lo pregava essendo nel seno della Trinità, dove egli è la seconda divina Persona.

È stato proprio anche per questa sua particolarissima preghiera che ha rivelato al mondo chi egli realmente era: il Figlio di Dio.

Ma, giacché era venuto in terra per noi, non gli è bastato essere lui in questa condizione privilegiata di preghiera. Morendo per noi, redimendoci, ci ha fatti figli di Dio, fratelli suoi, e ha dato anche a noi, tramite lo Spirito Santo, la possibilità d’essere introdotti nel seno della Trinità, in lui, assieme a lui, per mezzo di lui. Cosicché anche a noi è stata resa possibile quella sua divina invocazione: «Abbà, Padre!» – «Papà, babbo mio!», nostro – con tutto ciò che essa comporta: certezza della sua protezione, sicurezza, cieco abbandono al suo amore, consolazioni divine, forza, ardore; ardore che nasce in cuore a chi è certo di essere amato…

È questa la preghiera cristiana, una preghiera straordinaria. Non si riscontra in altri luoghi, né in altre religioni. Al più, se si crede in una divinità, la si venera, la si adora, la si supplica stando, per così dire, all’esterno di essa. Qui no, qui si entra nel Cuore di Dio.

E allora?

Allora ricordiamoci anzitutto della vertiginosa altezza a cui siamo chiamati come figli di Dio e, di conseguenza, dell’eccezionale nostra possibilità di pregare.

Naturalmente, si può dire «Abbà, Padre!», con tutto il significato che questa parola comporta, solo se lo Spirito Santo la pronuncia in noi.

E, perché ciò sia, occorre essere Gesù, null’altro che Gesù. Il modo? Lo sappiamo: egli già vive in noi per la grazia. Ma occorre fare la parte nostra. Essa consiste nell’amare, nell’essere nell’amore verso Dio e verso il prossimo. Con più pienezza poi lo Spirito la porrà sulle nostre labbra se saremo in perfetta unità coi nostri fratelli, dove Gesù è fra noi.

«Abbà, Padre!», sia la nostra preghiera (…). Per essa corrisponderemo in pieno alla nostra chiamata a credere all’amore, alla fede nell’amore che sta alla radice del nostro carisma.

Sì, l’Amore, il Padre ci ama. È il nostro papà: di che possiamo temere?

E come non vedere nel disegno d’amore che egli ha su ciascuno di noi, e che ci si rivela giorno dopo giorno, la più straordinaria avventura a cui potevamo essere chiamati?

 

(Da: Cercando le cose di lassù, Città Nuova Editrice)

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