Conoscere è potere. Non solo in politica

Una vera decisione consapevole, in politica come sul mercato, nasce dall’accesso ad un’informazione completa e veritiera. Il ruolo controverso delle lobby e la tendenza a delegare la decisione sui beni comuni. Errato seguire il modello del dibattito televisivo tipo "Porta a porta"
assemblea

In questi tempi di terrore “liquido” non si fa che parlare di intelligence e di come il lavoro dei servizi segreti possa aiutare a prevenire attacchi terroristici.

Il gran capo dell’Fbi, J. Edgar Hoover, ( del quale  recentemente Di Caprio ha prestato il volto in un famoso film) affermava nel secolo scorso che “informazione è potere”.  Che si tratti di votare, o fare semplicemente un acquisto, ogni decisione ha a monte un processo di raccolta ed elaborazione di informazioni.

Da sempre, anche nell’epoca digitale di Big Data che Castells  ha definito “era dell’informazione” per la potenziale accessibilità di questa merce così preziosa da parte di moltissime persone, acquisire informazioni è processo costoso, poichè chiede tempo e risorse. Eppure, paradossalmente, la sovrabbondanza di informazione crea problemi di selezione: discriminare la buona informazione nella grande marea che ci invade ogni giorno in quel caleidoscopio che va dai giornali ai tele notiziari fino al profondo mare di internet e connessi social, non è banale, così come non è scontato interpretarla per poterla utilizzare.

Accade così che, molto spesso, deleghiamo la produzione e la selezione di informazioni ad altri soggetti che lo fanno di mestiere, come i giornalisti e gli analisti, o semplicemente per passione civile, come molti blogger. Ma ci sono anche i produttori di informazione “interessati”, coloro cioè che sperano di portarci dalla loro parte. Lobby economiche e politiche – la fortunata serie tv House of Cards ce ne offre  un saggio – usano strumentalmente le informazioni, anche manipolandole, per persuadere.

Tuttavia sarebbe sbagliato demonizzare completamente il ruolo di lobby e patrocini. Spesso questi soggetti producono informazioni affidabili e di qualità. Secondo la teoria economica la situazione ideale per acquisire informazione da parte di una persona non informata è di poter disporre di parti interessate in competizione fra di loro.

È quello che un buon dibattito pubblico potrebbe produrre. Purtroppo accade raramente anche in Tv, dove programmi di intrattenimento a sfondo politico (i vari Porta a Porta, Ballarò e simili) raramente fanno ragionare i diversi esponenti politici su un unico tema e su dati ufficiali condivisi: prevale il marketing politico, dove ognuno parla al proprio elettorato dei contenuti a cui esso è più sensibile, senza approfondire ragioni, problemi e proposte di soluzione reali e coerenti.

Interessante è, invece, quanto sta sperimentando Beppe Servergnini col suo programma “L’Erba dei vicini”. Il pubblico viene invitato a una prima votazione su un tema specifico (che misura i pre-giudizi), rispetto al quale vengono poi fornite una serie di informazioni tramite dati e interviste. Si procede poi ad una seconda votazione “informata”, nella quale si può osservare chiaramente l’effetto della nuova informazione. In questo contesto, ovviamente, a parte un po’ di “sano campanilismo”, non vi sono interessi in gioco.

Lo stesso può accadere nelle assemblee e nei comitati in cui siamo chiamati a decidere insieme: possiamo delegare ad altri l’acquisizione di informazioni, oppure impegnarci in prima persona, potendo così disporre di un vero potere decisionale. Ma succede anche nei social, dove con facilità cadiamo preda di “bufale” se le informazioni non sono sostanziate e verificabili. Quest’ultimo fenomeno indica quanto le emozioni rappresentino un potente filtro alla nostra capacità di acquisire e interpretare le informazioni.

Non è indifferente, e si potrebbe approfondire, la diversità di atteggiamento su beni privati e beni pubblici: diverse indagini raccontano che dedichiamo molto tempo per acquisire informazione sulle scelte private (ad es. l’acquisto di un telefonino) e molto meno per le scelte pubbliche, a parte quando ci impattano direttamente, assumendo un valore di fatto privato. Solo allora la mobilitazione ci spinge ad impegnarci ad acquisire e capire l’informazione.

 

L'autore è docente di Strategie aziendali presso l'Istituto universitario Sophia

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