Partiamo dalla fine: i rappresentanti di 16 organizzazioni imprenditoriali, praticamente tutte le più grandi, che organizzano il lavoro di 24 milioni di italiani, firmano un protocollo d’intesa con il Cnel (Consiglio nazionale economia e lavoro), rappresentato dal suo presidente Renato Brunetta. Con tale protocollo Cia, Cna, Coldiretti, Confagricoltura, Confapi, Confartigianato, Confcommercio, Confcooperative, Confesercenti, Confetra, Confindustria, Confprofessioni, Conftrasporto, Copagri, Legacoop, Unsic prendono un impegno ben preciso: fare investimenti economico, sociali, lavorativi nelle carceri.
L’obiettivo è quello di combattere la recidiva attraverso percorsi di formazione e lavoro, con un sistema integrato che attraversi tutto il territorio nazionale, condividendo risorse e competenze, monitorando i fabbisogni del mercato in modo da offrire ai detenuti opportunità di lavoro concrete e durature.
Ci troviamo all’interno di una giornata di lavoro organizzata a Roma appunto dal Cnel in collaborazione con il Ministero della Giustizia, presso la Scuola di formazione “Giovanni Falcone” del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (DAP) lo scorso 17 giugno. Era la seconda edizione di “Recidiva Zero. Studio, formazione e lavoro in carcere e fuori dal carcere”, un appuntamento annuale importante in primis per il Segretariato permanente per l’inclusione sociale e lavorativa delle persone private della libertà personale sorto lo scorso settembre all’interno del Cnel.
Ad aprire i lavori, Renato Brunetta che è molto chiaro nel suo intervento: «La prospettiva “Recidiva zero” è una prospettiva “win, win, win”: vincono tutti», afferma. Vince infatti la società civile, i detenuti, il mondo delle imprese. Il perché lo spiega nei dettagli. A partire, infatti, dal principio che «il lavoro è valore sociale, fattore di emancipazione, giustizia e benessere per tutti», prende le mosse, racconta Brunetta, «l’accordo firmato il 13 giugno 2023 dal Cnel e dal ministero della Giustizia – poco più di due anni fa – con un obiettivo chiaro: costruire un ‘ponte’ tra il carcere e la società, riportando lavoro e istruzione al centro di un grande progetto di inclusione sociale. Un progetto che vede coinvolti imprese, sindacati, volontariato, scuola e università, enti locali. E per dimostrare che includere conviene. A tutti».
Una teoria? Per un economista, quale è Brunetta, i numeri contano. «Da economista, osservo i dati – spiega –. Perché i numeri non mentono: ci dicono dove siamo e quanto c’è ancora da fare. Nel 2023, quando il Cnel ha scelto di ‘investire’ in questa iniziativa, la baseline, il punto di partenza, era chiara: oltre il 70% dei detenuti ha al massimo la licenza media; il 6% è analfabeta o privo di qualsiasi titolo di studio; solo l’1% è laureato. Spendiamo ogni anno – ha aggiunto Brunetta – 3,5 miliardi di euro per il sistema penitenziario, ma il risultato è un dato allarmante: oltre il 70% di recidiva. Il nostro impegno è colmare questo divario, creando un legame strutturale tra carcere, impresa, formazione e istruzione».
Il presidente del Cnel parla ancora di un approccio strutturale e non emergenziale, che deve riguardare tutti i 189 istituti penitenziari presenti in Italia. «Vorrei che tutti i progetti, tutte le iniziative, tutte le strategie, tutto venisse fatto con coefficiente 189», sottolinea con forza.
Numerose le personalità presenti alla giornata, dal presidente del Senato Ignazio La Russa al vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura Fabio Pinelli; il ministro della Giustizia Carlo Nordio e quello del Lavoro e delle Politiche sociali Marina Calderone; il sottosegretario al ministero della Giustizia Andrea Ostellari. Sono intervenuti inoltre il capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria Stefano Carmine De Michele, il presidente del Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale, Riccardo Turrini Vita e il capo del Dipartimento per la Giustizia Minorile e di Comunità, Antonio Sangermano.
Una serie di interventi qualificati, che mostrano quanto lavoro, lungimiranza, impegno e sinergie accompagnano questo progetto, ha dato vita ad un programma intenso.
Nelle quattro sessioni tematiche l’argomento della giornata è stato approfondito sotto numerosi aspetti, con tanto di ricerche e statistiche, progetti, iniziative e numeri alla mano. Insomma, teoria sì, nel senso di riflessioni, ma anche tanta concretezza.
Difficile riportare in breve i numerosi spunti emersi – ne parleremo in articoli successivi –, ma un leit motiv li accomuna tutti: l’obiettivo recidiva zero non è un’utopia, né solo una bella opportunità. È una necessità, per tutti. Per chi sta dentro e per chi sta fuori. E passa dal lavoro. I numeri incoraggiano a percorrere questa strada: il tasso di recidiva, infatti, scende al 2% per chi ha la possibilità di lavorare, mentre si attesta sul 70% per chi non ha una simile prospettiva.
Non mancano gli ostacoli da superare per raggiungere i risultati desiderati. A cominciare dalle difficoltà di attuare la legge Smuraglia, che offre sgravi fiscali per l’assunzione di detenuti, ma si scontra con tanta diffidenza, posti limitati, mancanza di continuità che genera precarietà. Un altro elemento di criticità è dato da un coinvolgimento del settore privato ancora estremamente ridotto, visto che l’85% dei detenuti che lavorano (il 34% del totale) è impegnato alla dipendenza dell’amministrazione penitenziaria.
C’è da implementare un modello integrato per far fronte alla carenza di educatori (con il 72% dei detenuti senza diploma) e occorre prevedere «formazione professionale, sostegno psicologico-sociale e un nuovo patto con comunità e aziende», evidenzia Vincenzo Falabella, consigliere del Cnel e coordinatore dell’Osservatorio per l’inclusione e l’accessibilità, che parla di “laboratorio di futuro”.
Altro elemento da tenere in considerazione, secondo Santo Biondo, segretario confederale Uil, stato sociale, politiche economiche e fiscali, Mezzogiorno, immigrazione è quello di «garantire che il lavoro svolto all’interno delle carceri sia regolato, applicando i contratti collettivi nazionali, assicurando diritti e dignità ai detenuti lavoratori».
La progettualità, qui si vede, non manca e fa ben sperare. C’è chi si rende disponibile per favorire un approccio di rete; chi per sviluppare una nuova narrazione sul reinserimento dei detenuti che ne faccia comprendere l’importanza per la coesione sociale; chi per mettersi a fianco dei detenuti in questo percorso non privo di difficoltà; chi, ancora, per far da motore del processo appena descritto.
Gli attori in campo sono davvero tanti e, con le loro specificità come soggetti istituzionali, economici, sociali, coprono i molteplici aspetti della questione, garantendo un’assunzione di responsabilità che è indispensabile. Per questo si può ben sperare che sia la volta buona, come testimoniano progetti già in corso.