Come vincere le elezioni

Un manuale scritto ne primo secolo avanti Cristo dal fratello di Cicerone che mette in evidenza tecniche e dissimulazioni sempre utili per illudere gli elettori e guadagnare facile consenso. Conoscere per prevenire la malapolitica
Elezioni foto La Presse

In tempi recenti un presidente del Consiglio si è auto-definito “avvocato del popolo”. Ebbene, duemila anni fa un altro avvocato si candidava a diventare console romano, la massima carica del quel tempo, Marco Tullio Cicerone.

Del poliedrico Cicerone, giurista, scrittore, filosofo oltre che politico romano del I secolo a.C., vi è una certa notorietà anche ai meno avvezzi agli studi classici. Meno conosciuto è invece il fratello minore Quinto Tullio che, alla “discesa in campo” del fratello, da spin doctor ante literam, ha pensato bene di stendere una lista di raccomandazioni per vincere le elezioni.

Così scrive Quinto nel saluto iniziale al fratello: «Per quanto le doti naturali abbiano una grandissima importanza, sembra che in un impegno della durata di pochi mesi, la capacità di apparire più che di essere, possa avere un maggior peso delle qualità naturali stesse». E soprattutto pensa a questo: “Sono un “uomo nuovo”.

Il “Commentaliorum petitionis”, ovvero un “commento alla richiesta” si presenta come un “Manualetto del candidato – Istruzioni per vincere le elezioni” e così è stato recentemente ripubblicato, con testo originale latino e traduzione, nelle edizioni Manni con la prefazione del noto parlamentarista Filippo Ceccarelli.

Si chiederà il lettore cosa avranno in comune l’antica Roma con la Terza Repubblica italiana. Ebbene, nonostante i diversi assetti istituzionali, la dirompente inondazione di tecnologia, l’evoluzione dei linguaggi, tante risultano le analogie, come abbiamo rilevato nelle frasi iniziali, fra un passato che appare lontano ed un presente dove la politica ci abita nelle forme di una campagna elettorale permanente.

I sondaggi hanno sostituito gli oracoli ma i politici continuano ad affrontare l’ineludibile necessità di essere convincenti, di catturare la fiducia degli elettori, anche con promesse che già in origine saranno impossibili da realizzare.

Seguendo lo stile del console Gaio Cotta, un riconosciuto maestro dell’intrigo, Quinto riporta la massima di costui: “non può essere piena di visitatori la casa di chi accetta solo impegni che pensa di poter mantenere”, dato che per qualche ragione la sorte potrebbe cambiare gli eventi e quindi “l’ultima cosa cui pensare è che si adiri colui cui si è mentito”.

Degli avversari politici del fratello Quinto offre una descrizione dettagliata, frutto di un’evidente attività di dossieraggio. Ecco la descrizione che fa di Catilina: «non teme neanche le leggi, nato da un padre ridotto alla miseria, educato fra gli stupri della sorella, reso forte da stragi di cittadini, ha fatto ingresso nella vita politica assassinando cavalieri romani».

Come pure Quinto non si esime dal consigliare il fratello di alimentare una cultura del sospetto verso i propri avversari politici: «Appena ti è possibile, fa in modo che contro i tuoi avversari sorga qualche sospetto, purché compatibile con il loro comportamento, di scelleratezza, di dissolutezza o di sperperi». Arrivando anche alle velate minacce: «Fa che sappiano di essere osservati e sorvegliati da te (…) sfruttando la loro paura».

Allo stesso tempo scrive al fratello di  «impegnarsi con la massima cura affinché si ripongano buone speranze nella tua futura attività fondata sulla convinzione della tua onestà» e di curare le motivazioni che spingono gli elettori al voto: i benefici, la speranza e la contiguità d’animo.

In un passaggio del “Manualetto” si menziona il fatto che le persone amano essere chiamate per nome. E infatti nell’antica Roma vi erano schiavi, i nomenclator, incaricati di ricorda al candidato i nomi delle persone che costui incontrava. Secondo Quinto la conoscenza personale degli elettori è fondamentale per ottenere il favore popolare. Come pure la presenza assidua nei luoghi dove si svolgono le elezioni, attorniati dalla claque di sostegno.

Insomma nulla di nuovo sotto il sole. La post-democrazia populista assomiglia moltissimo alla Roma di Quinto Tullio Cicerone e sembra proprio che la lezione del più noto fratello Marco Tullio ancora non sia stata imparata dagli elettori: “Historia magistra vitae”.

Forse più significativa l’intera locuzione: “La storia in verità è testimone dei tempi, luce della verità, vita della memoria, maestra di vita, messaggera dell’antichità.”

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