Come diventai Signor Nessuno

Èaccaduto ad Ancona nel febbraio del 1993. Un giorno, verso le sette del mattino, vengono a casa mia i carabinieri e mi consegnano un avviso di garanzia. All’istante provo stordimento e vengo assalito da una lancinante angoscia per la quale non c’è risposta. Sono ormai un inquisito: ricevere quel documento significa infatti essere bollato come colpevole. Il giorno dopo i giornali cittadini ne danno notizia con grande rilievo e lo stupore si diffonde ovunque: Ma come, proprio lui! Chi l’avrebbe detto?. Lui è Marco Bernardini, direttore generale della Usl n°5 delle Marche, amministratore unico della Cem (società di consulenza europea con sedi operative nelle Marche e a Bruxelles) e presidente di Uomo e Città, affermata associazione culturale di iniziativa politica. Figura di spicco del mondo cattolico per aver diretto la commissione delle comunicazioni sociali della curia arcivescovile, Bernardini si muove con destrezza in questo scenario di impegni con interessi vari. È un ingegnere apprezzato e stimato anche per la competenza. È il periodo di Mani pulite, e nelle retate delle Procure incappano anche persone che non c’entrano per nulla. Come appunto è il caso di Bernardini, sospettato di avere dato tangenti a fronte di un importante incarico di consulenza a livello europeo. Dopo aver setacciato tutti i miei rapporti bancari – riprende Bernardini – la guardia di finanza conclude che non ci sono state operazioni finanziarie anomale. Allora il capo d’imputazione cambia: si sospetta non più che io abbia dato tangenti, ma che abbia avuto l’intenzione di darle. La Procura della Repubblica non chiama né chiarisce. Cala un silenzio destinato a durare anni. E qui inizia il calvario di Bernardini. Sono costretto ad abbandonare ogni attività lavorativa di carattere pubblico e privato e ad azzerare ogni interesse professionale. Tutto diventa doloroso e mortificante. Le dimissioni da qualsiasi incarico si succedono con velocità impressionante. In un baleno non sono più nessuno. Mi ritrovo isolato e solo. Non c’è nessuna sentenza di colpevolezza, eppure tutto attorno a me si muove come se fossi colpevole. Entro in un tipo di esistenza allucinante, con grave pregiudizio anche per la salute: non riesco più a mangiare ed il sonno si riduce a due o tre ore per notte; sussulto ogni volta che squilla il telefono o arriva la posta. Per circa due mesi Bernardini si muove come un automa: Verso le cinque e mezzo del mattino mi preparo ad uscire di casa con una valigetta contenente i miei effetti personali: ho saputo infatti che la polizia provvede agli arresti di alcuni inquisiti proprio durante quelle ore. È un’attesa spasmodica durante la quale ogni minimo rumore mi fa scattare come una molla. Passata quella mezz’oretta, il pericolo, almeno per quel giorno, è scampato. Allora, seduto nella poltrona del salotto, posso sprofondare in un riposo ristoratore che dura circa un’ora. Per la Procura non ci sono scadenze. Può tenerti sulla corda per mesi, per anni, come è accaduto a me. Nessuna possibilità di pianificare la propria vita, di fare previsioni al di là del giorno dopo. Scendi in una specie di limbo dove impari a convivere con il senso della vertigine e dell’indefinito perché il tempo non c’è più e la tua vita è completamente bloccata dall’incertezza, dalla paura, dal senso del provvisorio. Il medico che mi segue mi ordina di fare del moto fisico. Allora alla sera, quando è buio, con gli occhiali scuri percorro strade periferiche, piangendo perché assalito dai ricordi di un tempo che non c’è più. Mi domando di cosa sono colpevole, di che cosa devo rispondere… Ma non c’è un riscontro né una testimonianza; non ci sono prove da parte dei supposti destinatari. Allora comincio a pensare ad altri che, colpiti come me, non hanno resistito alla vergogna e si sono tolti la vita. Sono atterrito: fare queste considerazioni proprio io che sento l’amore e la vicinanza degli amici del Focolare che condividono con me l’infamia?. In questo frangente Bernardini decide di scrivere a Chiara Lubich il resoconto della sua disavventura: Non pensavo ad un’esperienza così devastante e spaventosa. Ho sentito la morte dentro di me, l’ho anche fortemente desiderata (…). Ogni volta che la prova diventava più acuta mi aggrappavo a Gesù perché anche per me, come già fece per il centurione, dicesse una sola parola. Ma questo non accadeva. (…) Bussate e vi sarà aperto sta scritto.Ma dov’è la porta? E poi c’è qualcuno che ascolta? Dio è scomparso. Da tempo non ci sono più segnali (…). Il cieco nato grida e a quel grido Gesù si ferma. (…) Anch’io ho gridato, ma Gesù non si è fermato per me. Il vangelo ci ricorda poi che chi lavora per il Regno di Dio riceve il centuplo in questa vita (…). In questa grande solitudine, in questo deserto che c’è attorno a me, così innaturale per il mio temperamento, si aggiunge anche il dubbio di avere seguito il dio sbagliato. Ma ci sei tu a ricordarmi il patto di fedeltà, d’amore e di unità. Tu non mi inganni quando mi ricordi che il nostro Dio è Gesù abbandonato. È lui lo strappo, la vergogna, l’annebbiamento, il dubbio. È lui l’apparente lontananza di quel Dio che sembra quasi non interessarmi più…. Ho sentito mio il tuo grande dolore – è la risposta di Chiara -, il buio che ha avvolto la tua anima in questa prova tremenda che non ha spiegazioni umane. Voglio assicurarti la mia preghiera e la mia fortissima unità. È un momento prezioso, Marco, per la tua vita: Gesù abbandonato ti ha voluto un po’ simile a sé. La prova passerà, ma resterà nella tua anima la ricchezza del tuo amore a lui ed è solo quello che vale. Proprio così: la prova passa e rimane soltanto l’amore. Non c’è né processo, né dibattimento e neppure sentenza. Il tribunale provvede al totale proscioglimento dell’accusato perché la Procura non è stata in grado di provare nulla. Dopo molti mesi – prosegue Bernardini – il presidente del tribunale mi chiama a testimoniare in altri casi che si erano intrecciati col mio. Mentre mi preparo a deporre, con uno sguardo quasi d’intesa m’invita a parlare liberamente e, se lo desidero, anche del mio caso (peraltro ormai superato). Ha capito che avevo ancora tante cose da dire, accumulate in otto lunghi anni. Parlo ininterrottamente per quaranta minuti, terminando in un grande silenzio. Il presidente mi ringrazia anche a nome della corte. È stato un modo garbato per chiedere scusa. Ormai libero, il nostro amico torna a passeggiare in città. Un giorno si imbatte nel prefetto di Ancona, dal quale riceve grandi manifestazioni di affetto e si sente dire: Caro Bernardini, avesse avuto a disposizione una bacchetta magica, avrebbe potuto cancellare tutto e questa brutta esperienza non l’avrebbe vissuta. No – replica subito l’altro -: anche se l’avessi avuta non l’avrei usata perché, grazie a quel Dio nascosto dentro di me, quei momenti d’inferno si sono rivelati la più fantastica e ricca esperienza della mia vita.

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