Il clero statunitense sotto accusa

Angoscia e rabbia dei fedeli per le virtù teologali poco vissute da alcuni vescovi e presbiteri, la mancanza di leadership e l’organizzazione troppo piramidale. Oltre alla lentezza esasperante nell’affrontare il problema degli abusi

Il teologo protestante Jurgen Moltmann scrisse: «Coloro che sperano in Cristo non possono accettare la realtà così com’è, devono soffrire sotto il peso di essa per cambiarla». Questa frase esprime bene l’angoscia che sto vivendo in questi giorni, per la grande attenzione che viene data all’abuso di potere da parte del clero, sia sacerdoti che vescovi, nella nostra Chiesa. Questo non vale solo per gli Stati Uniti, ma sembra che noi abbiamo un ruolo speciale nel portare avanti la discussione sulla difficile questione della riforma del sistema.

Sono grata a Papa Francesco per aver convocato nel prossimo febbraio i presidenti di tutte le conferenze episcopali mondiali per discutere, come scritto nell’annuncio del Vaticano, sulla «prevenzione dell’abuso di minori e adulti vulnerabili».

Sono profondamente rattristata, tuttavia, che la mia Chiesa, il cui messaggio centrale è la dignità e la sacralità di ogni essere umano, debba convocare la sua dirigenza per riconoscere che l’abuso sessuale da parte del suo clero viola tale valore fondamentale.

Come abbiamo potuto giungere a questa situazione? Sì, il peccato è parte della condizione umana. Ma non abbiamo imparato nulla in questi 2000 anni annunciando che siamo il Corpo di Cristo?

La sensazione di rabbia, rifiuto, disgusto e profonda tristezza che provo quando rifletto sulla realtà del nostro episcopato e presbiterio, è condivisa da molti dei miei parrocchiani e colleghi che lavorano nella Chiesa cattolica qui negli Stati Uniti, incluso il clero e alcuni vescovi. Non posso che sottolineare fortemente questo.

Come cattolici americani siamo scoraggiati dalla mancanza di leadership della nostra conferenza episcopale. Le persone stanno commentando la foto ufficiale della nostra delegazione statunitense e la breve dichiarazione sulla riunione del 13 settembre, con derisione e scetticismo.

Negli Stati Uniti, la nostra cultura cattolica ha creato un’organizzazione piramidale della Chiesa. Il vescovo e i sacerdoti sono in cima, i laici in fondo. Il potere risiede in cima ed è diretto verso il basso. In effetti, questo è il modo in cui molte organizzazioni, incluse le famiglie, funzionavano in passato. Ma oggi pochissime realtà nella cultura statunitense operano ancora in questo modo, men che meno le famiglie e le organizzazioni sociali. Il marito non è più il “capofamiglia”, e i bambini non devono più “essere visti ma non sentiti”. Il nostro sistema educativo ha ormai capito che i bambini imparano meglio in contesti di gruppo, prendendo le decisioni come una squadra, perché è così che le migliori aziende operano. L’innovazione e la creatività fioriscono quando tutte le voci vengono ascoltate e ognuno può contribuire in base alle proprie capacità.

L’ironia, naturalmente, è che la nostra teologia cattolica non chiede agli ordinati di governare il resto del popolo di Dio. Piuttosto, il sacramento dell’Ordine, come afferma il Catechismo della Chiesa Cattolica (n. 1574), è «orientato a far esprimere la grazia battesimale di tutti i cristiani». La scorsa notte con mio marito, che è un teologo, ho guidato un raduno di coppie sposate nella nostra parrocchia. Abbiamo parlato della crisi attuale e di come, da adulti e sposati cattolici, dovremmo praticare le tre virtù teologali primarie – fede, speranza e amore – per guidare la Chiesa verso un nuovo modo di esistere.

Dobbiamo vivere una fede adulta, una speranza adulta, un amore adulto, e applicare queste virtù nel rapporto con i nostri dirigenti parrocchiali, i nostri vescovi e i fedeli nostri compagni. Dobbiamo essere “gli adulti nella stanza”, assumendo il nostro legittimo ruolo per eliminare la segretezza e la cultura del clericalismo, che consentono l’abuso. Accettiamo la sfida di chiederci quale Chiesa vogliamo che i nostri figli ereditino? Quelle coppie sposate erano d’accordo con noi sul fatto che gran parte della nostra angoscia deriva dal vedere che alcuni vescovi e sacerdoti vivono poco le virtù teologali.

Come genitori e coniugi, sappiamo cosa vuol dire sacrificarsi per amore. Se sapessimo che i nostri figli sono in grave pericolo, agiremmo rapidamente, in modo deciso e senza pensare alle conseguenze per noi stessi. In effetti, molti di noi lo hanno fatto. Ringraziamo i nostri militari e il personale del pronto soccorso quando si sacrificano per amore nelle loro professioni. Ci aspettiamo lo stesso dai nostri vescovi. Preghiamo che possano esercitare il sacramento degli ordini sacri all’interno della loro grazia battesimale, come fa ognuno di noi.

Helen Osman è presidente di SIGNIS, l’Associazione cattolica mondiale per la comunicazione.

 

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