Caso Regeni, il momento delle scelte credibili

Sulla morte di Giulio Regeni è arrivata la relazione finale e unanime della Commissione parlamentare di inchiesta che conferma la responsabilità degli ufficiali degli apparati di sicurezza egiziani. Ma l’Italia è con Fincantieri tra i principali espositori della fiera di armi in corso a Il Cairo. Una questione seria per la politica italiana ed europea.
Regeni Foto Claudio Furlan - LaPresse

Sul caso di Giulio Regeni, il ricercatore italiano torturato e ucciso in Egitto nel 2016, ha lavorato negli ultimi 2 anni la Commissione parlamentare di inchiesta presieduta da Erasmo Palazzotto, deputato di Leu, giungendo ad una relazione conclusiva che è stata presentata e approvata da tutte le forze politiche nella seduta conclusiva di mercoledì primo dicembre 2021.

Egypt Defence Exhibition 2021 AP Photo/Mohamed El-Shahed

Una presa di posizione importante che interviene proprio mentre è in corso, a Il Cairo, l’evento Egypt Defence Expo, una grande fiera di armi con 400 esportatori internazionali che vede come sponsor principale Fincantieri, società controllata dallo Stato Italiano. La consegna delle due navi da guerra Fremm già evidenziata su Città Nuova, fa parte di una strategia di più ampia penetrazione delle aziende italiane, altre 13 sono presenti all’Expo egiziano, nell’elenco dei maggiori fornitori di armi delle forze armate egiziane.

La Commissione parlamentare ha fatto proprie «le risultanze delle indagini della Procura della Repubblica di Roma, arrivando alla conclusione che Giulio Regeni è stato rapito, torturato e ucciso da ufficiali degli apparati di sicurezza della Repubblica araba d’Egitto ed in particolare da ufficiali della National Security Agency. Sulle istituzioni egiziane grava la responsabilità di non essere intervenute, nonostante risulti agli atti il loro tempestivo interessamento ai massimi livelli da parte delle istituzioni italiane».

Dalla relazione vengono escluse le ipotesi di coinvolgimento di servizi segreti stranieri interessati a far fallire le relazioni economiche tra l’Italia e il regime del generale Al Sisi. Da quello prioritario dell’energia guidato da Eni al settore delle armi in rapida crescita negli ultimi anni.

La Francia è il maggior concorrente dell’Italia in Egitto, Paese coinvolto nel conflitto in Libia nelle complesse relazioni che hanno visto Parigi schierato con il generale Haftar in contrasto con il governo di Tripoli sostenuto dalla Turchia e dagli altri stati occidentali, Italia compresa. Una situazione controversa che dovrebbe risolversi con le prossime elezioni unitarie fissate in Libia per il prossimo 24 dicembre. Ad ogni modo lo stesso Macron ha affermato, ricevendo Al Sisi all’Eliseo per conferirgli la Legione d’onore, che le violazioni dei diritti umani non possono influire sulle strategie della Francia.

Genitori Giulio Regeni AP Photo/Luca Bruno

Sembra questa la linea di fatto adottata dall’Italia nonostante la denuncia pubblica fatta dai genitori di Regeni che hanno evidenziato la violazione della legge 185/90 che si sta consumando con la vendita di armi all’Egitto, Paese che viola i diritti umani oltre ad essere coinvolto in conflitti armati.

Il trattamento subito da Giulio Regeni è, purtroppo, prassi comune per ampi settori della dissidenza interna in Egitto, storie e volti che non emergono pubblicamente se non nei rapporti di Amnesty international o, in Italia, nel caso della detenzione persecutoria di Patrick Zaki, studente dell’università di Bologna.

Palazzotto, a nome della Commissione parlamentare, ha chiesto «un “salto di  qualità”  nell’esercizio  della  pressione diplomatica sull’Egitto, di cui ancora purtroppo non vi è traccia», auspicando che «le relazioni italo-egiziane  siano affrontate e orientate nel loro complesso assumendo una posizione più chiara e determinata, elevando il livello del confronto politico con l’Egitto al fine di riaffermare chiaramente che per il  nostro Paese l’esigenza di assicurare alla giustizia i responsabili dell’omicidio di Giulio Regeni investe direttamente l’interesse nazionale al pari delle questioni di natura geopolitica e strategica».

Sul piano giudiziario, il processo intentato dalla Procura di Roma contro i presunti sequestratori di Regeni si è interrotto lo scorso 14 ottobre per ragioni formali legate alla contestazione dell’effettiva notifica della comparsa in udienza degli imputati egiziani. Questione che potrebbe essere superata nella nuova udienza fissata il 10 gennaio 2022 davanti al Gup (Giudice dell’udienza preliminare) di Roma.

(Egyptian Interior Ministry via AP, File)

Ma la questione “Regeni” non può essere gestita solo come una tensione tra due Paesi.  

A tal fine la Commissione parlamentare d’inchiesta ravvisa «l’opportunità di richiamare con maggiore  forza il coinvolgimento dell’Unione europea e di prendere in considerazione il ricorso agli strumenti del diritto internazionale, a partire dall’attivazione della Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura».

Una modalità che, se effettivamente seguita, dovrebbe evitare ad altri soggetti di approfittare della crisi dei rapporti tra Italia e Egitto per raggiungere i propri obiettivi di strategia economico commerciale.

Egypt Defence Exhibition 2021 AP Photo/Mohamed El-Shahed

Il caso Regeni, correttamente inteso, rappresenta perciò la possibilità per l’Italia e quindi per l’Unione europea di affrontare i nodi irrisolti tra le pretese priorità strategiche, il rispetto dei diritti umani e le conseguenti scelte di politica economica e industriale. In altre parole, come dice Riccardo Nuory, portavoce di Amnesty Italia, «Se accanto alle dichiarazioni di circostanza su Regeni e Zaki continuiamo a vendere armi, è chiaro che al Cairo si rendano conto che non siamo molto credibili».

Qui il testo della relazione della Commissione parlamentare d’inchiesta.

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