Era il 3 marzo 1875 e a Parigi all’Opéra-Comique andava in scena il suo capolavoro tratto da Mérimée, Carmen. Lui, Georges, poco dopo si ammalava e moriva a 37 anni il 3 giugno. Non ha mai goduto il successo ormai planetario di un lavoro che è un caposaldo del teatro musicale di sempre.
Carmen non è un’opera facile. La sigaraia di Siviglia, la gitana libera di amare e di morire, che accetta il suo destino, è una creatura formidabile: seduce, strega gli uomini, libera da ogni vincolo come fosse un Don Giovanni al femminile. I suoi amori sono intensi e rapidi, come succede a Don Josè, irretito, sua vittima e suo carnefice in una Spagna di notturni montani e di contrabbandieri, di corride e di nuovi amori, come il toreador Escamillo. Lei morirà come è vissuta: libera. Creatura “diabolica”, precorre le “femmes fatali” di tanta arte e musica del secondo ‘800, le Manon e le Salomè e la Tosca, ma anche gli amori sanguinosi come accade in Cavalleria Rusticana e Pagliacci, certo su un livello musicale altissimo.
Lavoro dunque sanguigno, sensuale, drammatico. Bizet certo conosce Verdi e Wagner, ma non imita nessuno, segue una ispirazione incandescente che trasporta ritmi spagnoli e sensibilità mediterranea, notti misteriose e danze zingaresche, follia e passione. L’orchestrazione è meravigliosa, coloratissima, i personaggi delineati a forti tratti come fossimo nella pittura di Goya, tra preludi sgargianti e interludi lunari da favola.
Di quest’opera esistono incisioni e rappresentazioni costanti, storiche le regie di Zeffirelli e le incisioni di Carlos Kleiber e di Karajan ed interpreti perfetti come Giulietta Simionato e Franco Corelli.
A Roma, al Teatro dell’Opera, la cosa più bella e ancora sorprendente sono le scene mediterranee, di una grafia lineare precisa e dolce di Renato Guttuso del 1970, che ha curato pure i costumi. La meraviglia delle luci sempre calde e arcobalenacee di Giuseppe Di Iorio hanno creato un sapore di incantamenti di notte, di insieme “caravaggeschi”, e di arie surreali come un tramonto rosseggiante tra i monti che sembra una eruzione vulcanica. Tanta Sicilia, tanto Mediterraneo: Siviglia del resto è una città del Sud.
Così le scene ripropongono un microcosmo periferico attuale che la regia puntata sul visionario e l’onirico di Fabio Ceresa cerca di narrare con impegno, anche se non sempre opportunamente come l’urlo delle sirene alla uscita dal lavoro delle sigaraie, poco in sintonia con la musica.

Omer Meir Wellber ph Luca Pezzani
Dal lato musicale, la direzione focosa (troppo?) di un esperto di quest’opera come Omer Meir Wellber, produce un ritmo vorticoso, in bianco-e-nero con pause veloci, senso del dramma e momenti lirici fini, a cui risponde l’orchestra impegnata in alcuni passaggi molto belli, dei violini primi lievissimi, del flauto e dell’oboe, della bordata calda dei violoncelli.

Ketevan Kemoklidze HD © Giorgi Tsaava
Dal lato vocale- si tratta del secondo cast – esso risulta credibile dal punto di vista attoriale da parte di tutti,sia della protagonista Katevan Kemoklidze, come del don Josè (Jorge DeLéon) e di Micaela (Ekaterina Bakanova), meno in quello vocale in cui non ci sono solo enfasi ma nuances francesi stupende. L’Escamillo dell’ucraino Andrei Bondarenko è una sorpresa piacevole come voce e come presenza. Buono il coro con i bambini. Trionfa sul pubblico la musica di Bizet, morto 150 anni fa e sempre vivo. Fino al 28