Brian Wilson, al di qua del Tempo

L’ultima avventura discografica, Reimagines Gershwin, di quell’eterno ragazzo, il leggendario leader dei Beach Boys.
Brian Wilson

Una volta tanto vorrei parlare di un disco partendo dalla copertina. Perché raramente m’è capitato di trovarne una capace di sintetizzare in modo così immediato ed efficace il senso di un’opera come quella di Reimagines Gershwin, l’ultima avventura discografica di quell’eterno ragazzo che è Brian Wilson, il leggendario leader dei Beach Boys.

La colorata scomposizione della tastiera ci riporta da un lato all’impatto grafico tipico di tanti capolavori del jazz degli anni belli, e dall’altro ad una progressiva, armonica, ma anche bizzarra reinvenzione (o nuova immaginazione, per agganciarsi al titolo) di un archetipo di classicità universalmente noto.

 

Gershwin è Gershwin: uno dei più grandi compositori del Novecento, forse il più grande di tutti, almeno nella capacità di fondere l’istintività e la passionalità del jazz all’eleganza senza tempo della classica, la musica da strada a quella dei conservatori, il pop al blues primigenio. In questo disco di cover Wilson ha provato a rilanciare la sfida, trasportando tutto questo dentro il pittoresco universo rock o, per essere più precisi, nella galassia del rock’n’roll alla quale è riconducibile il surf-rock di cui i ragazzi della spiaggia sono fondatori e caposcuola assoluti. Operazione ad alto ma azzardabile rischio, giacché il new-yorkese Gershwin sta alla prima metà del Novecento, come il californiano Wilson alla seconda…

 

Ma torniamo al disco: quattordici brani in tutto, la maggioranza riletture di classici senza tempo come il tema di Porgy & Bess, l’inossidabile Rhapsody in Blue, o pop-song memorabili come Summertime, It aint necessarily so, Love is here to stay, I got rhythm… Melodie ed atmosfere indimenticabili che il nostro propone con l’aggiunta di quegli inconfondibili, gioiosi e preziosi vocalismi che sono da sempre il marchio di fabbrica dello stile Beach Boys. Un disco splendido, ammaliante per tutte le orecchie, ad un tempo colto e divertente. Un’opera nostalgica sì, ma tutt’altro che demodé. Come la copertina, per l’appunto…

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