Bellini e Mantegna a Venezia

Due tavole, due Presentazioni di Gesù al tempio, due artisti parenti. Due autentici geni del Rinascimento. Per la prima volta, dopo secoli, insieme

Straordinario. Due tavole, due Presentazioni di Gesù al tempio, due artisti parenti: Giovanni Bellini e il cognato Andrea Mantegna. Due autentici geni del Rinascimento. Per la prima volta, dopo secoli, insieme. A Venezia la Fondazione Querini Stampalia è un gioiello, un palazzo che conserva l’eredità dei Querini, decorato con affreschi, mobili, un lussuoso ’700 veneziano: una ricca pinacoteca, l’ampliamento progettato nel ‘900 da Carlo Scarpa, e gli eventi d’arte che si susseguono. Come questo, che durerà fino al primo luglio.

bellini

Mantegna ha dipinto la sua tavola, conservata a Berlino alla Gemaldegalerie, verso il 1455. Un lavoro diventato presto famoso, passato poi nella collezione del cardinale Pietro Bembo e arrivato alla fine in Germania. Un’opera di famiglia, dove le figure sono scolpite dal colore e dal grafismo incisivo tipico dell’artista padovano dentro una cornice, come fosse un bassorilievo di Donatello. Un ritratto di famiglia: sotto le fattezze dei personaggi sacri si nascondono quelli reali, come si usava, perciò l’opera doveva restare in casa come una memoria preziosa. Così l’uomo a destra è il Mantegna stesso e la donna all’estrema sinistra è la moglie Nicolosia, mentre nel bambino è stato visto il figlio appena nato della coppia. La Madonna volge uno sguardo triste a Simeone, presaga del futuro martirio del figlio, col gomito appoggiato alla balaustra marmorea. C’è una mestizia di fondo, ma forte, perché forti sono i corpi, i colori, le luci e i sentimenti. Mantegna è pittore di storia e qui la sua storia personale si inserisce in quella divina.

Quasi un ventennio dopo, sul 1475, Giovanni “copia” l’opera del cognato. Il motivo ci sfugge. E questa tavola oggi costituisce il gioiello della Fondazione, brilla al centro di una sala apposita. Vedere le due tavole accostate l’una all’altra è una esperienza unica. Bellini non ha tanto copiato l’opera del cognato, ma “interpretato”. Mantegna sarebbe stato contrario a una copiatura, per lui esistevano solo le copie incise per riprodurre un lavoro. Giovanni invece osserva la tavola, se ne innamora, e la ridice secondo la propria sensibilità. Infatti, se la composizione pare identica, pure il tono cambia del tutto, perché l’anima è diversa. I colori sono belli, caldi, il tono affettuoso per quanto riservato. Le figure emergono dal fondo non come sculture ma come persone in colloquio silenzioso tra loro, non c’è la sublime impassibilità mantegnesca. Ai lati del gruppo sacro ci sono due coppie: a sinistra due donne (Nicolosia e la madre?), a destra due uomini: Mantegna lo stesso Bellini che ci guarda. È davvero lui? I pareri sono discordi, ma io credo sia proprio lui che si è un po’ “abbellito”. Maria offre il bambino trepidante al vecchio che l’accoglie dolcemente senza la severità mantegnesca, oltre il parapetto in marmo verde di Verona.

Giovanni fa respirare un clima dolce, affettuoso, privo del senso di tragedia incombente del cognato. Qui c’è la poesia, lì la storia, l’epos cristiano. Non si può non rimanere incantati di fronte alle due voci, che si completano a vicenda, come fossero le espressioni l’una della mente, l’altra del cuore. Da non perdere.

Fino al 1 luglio (cat. Fondazione Querini Stampalia Onlus).

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