Bandiera bianca

Meno chiacchiere e meno tv. Più silenzio e più storie. Belle.
Media

«Guarda i fatti!», mi diceva un anziano psicologo che ho avuto la fortuna di frequentare anni fa. «Quando le parole sono distorte da mistificazioni, quando diventano frecce per ferirsi o belletti per apparire diversi da ciò che siamo, non ascoltarle. Parlare non serve in questi casi, ma guarda i fatti».

Guardo attorno a me. E che cosa vedo? Gente che chiacchiera, ma proprio tanto. Che chiacchiera fervorosamente di calcio, e non sa più posare le maglie sul prato a mo’ di pali e tirare due calci al pallone (si può farlo ad ogni età). Che s’insulta reciprocamente e visceralmente su fatti politici o presunti tali, e raramente riesce a scendere nel circondario e impegnarsi in qualcosa per il bene comune, come intenderebbe proprio la parola “politica”. Che parla di musica e la ascolta in tutte le salse, ma non si prende il tempo per strimpellare una chitarra, picchiare i tasti d’un piano o cantare una canzone in coro con gli amici o mentre guida o passeggia da sola. Che chiacchiera sugli amori dei vip e non sa dare un bacio, quando un bacio vero si dovrebbe dare. Perché siamo diventati una tribù di chiacchieroni indolenti, e pure un po’ presuntuosi?

 

Colpa dei media? I media fanno la loro parte: ci bombardano in tutte i modi, e siccome il loro è un business aggressivo con regole quasi da giungla, devono proporre al pubblico materiale stuzzicante in quantità industriali. Il grande Jorge Luis Borges diceva che se i giornali dovessero riportare notizie davvero importanti, uscirebbero poche volte l’anno.

Allora, mi son detto: oggi mi arrendo! Alzo bandiera bianca. La appendo alla finestra. Almeno per un giorno: niente tv, riviste, niente radio, musica confezionata. Almeno per un giorno. Per parlare (sì, “parlare” non chiacchierare) con il vicino di casa delle cose intime della vita, non di banalità o di fatti della tv. Per cantare una canzone. Per provare l’ebbrezza del silenzio. E riuscire ad ascoltare storie che altrimenti sfuggiranno, soffocate dall’assordante rumorosità dei media.

Storie come quella delle 40 ragazze di Bologna, morte dal 1930 al 1960 all’ospedale Pizzardi nell’assistere i malati di tubercolosi. 40 ragazze tra i 25 e i 35 anni che hanno silenziosamente e consapevolmente dato la vita adoperandosi senza riserve per i concittadini. Quante storie come questa, che fanno bello il nostro Paese, recupereremo alzando ogni tanto bandiera bianca.

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