Azzardo e poteri forti, è ora di cambiare

Lanciati appelli per ritardare la riapertura della filiera dell’azzardo “legale”. Ma il vero nodo resta quello delle concessioni dello Stato alle grandi società del settore
LaPresse - Sergio Agazzi

L’azzardo di massa incentivato dallo Stato non è scomparso con il virus. Tutti i problemi irrisolti della nostra società (poteri mafiosi, produzioni di armi, lavoro servile, odiose diseguaglianze, ecc.) restano tali e sono destinati ad aggravarsi senza una vera fase 2, capace di cambiare le carte in tavola.
Marcello Minenna è uno stimatissimo economista messo a capo dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli che, durante la quarantena, ha fatto osservare, come per le altre attività non essenziali, la chiusura di ogni negozio autorizzato a vendere i prodotti dell’azzardo.

Con il riavvio graduale della vita sociale ha emesso una “determinazione” che programma una riapertura progressiva di tutta la filiera dell’azzardo che si compirà l’11 maggio con slot machine e scommesse. Ma già da lunedì 27 aprile riprenderà dalle tabaccherie la raccolta di “10 & Lotto”, “Millionday” “Winforlife” e “Winforlife Vincicasa”.
È una scelta inevitabile per attività che rientrano in una concessione pubblica dello stato con tanto di esposizione, nei negozi, del simbolo della Repubblica.

Poco prima che si chiudesse il mondo per coronavirus, infatti, è stata mandata la forza pubblica per far cessare l’occupazione, da parte dei residenti, dell’ex cinema Palazzo di Roma dove una delle multinazionali dell’azzardo vuole aprire un casinò.  Quel luogo è, oggi, uno spazio sociale di cultura e convivialità ma resta illegale secondo le norme che in Italia hanno spalancato le porte ai prodotti dell’azzardo che non è un gioco ma il suo esatto contrario.

Non serve alla ricreazione del “gioco” l’enorme sala Bingo più grande d’Europa aperta nella Capitale da una grande società del settore grazie ad una concessione dello Stato. Elementari ragioni di salute pubblica dovrebbero indurre i governanti a non incentivare un’attività che induce dipendenze patologiche e incrementa il fenomeno del sovra indebitamento e dell’usura.

Ma la vera dipendenza conclamata dal sistema dell’azzardo è quello del nostro erario che dal volume dei 108 miliardi di euro gettati nella fornace dell’azzardo riesce ad incamerarne 10 miliardi, più o meno quanto si distribuiscono le aziende del settore nelle loro filiere. La gran parte del rimanente denaro raccolto viene, invece, redistribuito in vincite minimali (il costo della puntata) che servono a fidelizzare e incentivare lo stesso meccanismo di raccolta.

La vincita stratosferica avviene con probabilità remotissime (1 su 622.614.630 per fare il caso del superenalotto) ma tali da alimentare il sogno magico di battere il destino. Un idolo incontrollabile, capace di impossessarsi della vita di persone di ogni estrazione ma che attrare tragicamente una larga fetta della popolazione povera o in via di impoverimento.
L’economista Luigino Bruni ha pubblicato sul sito di Vita non profit una lettera aperta per chiedere a Giuseppe Conte di far riaprire i luoghi pubblici dell’azzardo «se non possiamo chiuderli per sempre, come l’ultima attività del Paese, dopo la manifattura, i teatri, le biblioteche, i negozi». È nata anche, in base a questa sollecitazione, una raccolta di firme su una piattaforma informatica.
Bruni auspica che il suo messaggio arrivi a Conte ma, come sappiamo, il presidente del consiglio conosce molto bene le istanze del mondo dell’economia civile come ha dimostrato nel suo apprezzato intervento al festival nazionale di Firenze dell’aprile 2019.

Il nocciolo della questione resta il sistema delle concessioni dell’azzardo alle società orientate al profitto. Veri colossi che usano il denaro per attività finanziarie e immobiliari fortemente redditizie ma anche di beneficienza. L’esempio più eclatante è rappresentato dal gruppo Lottomatica del gruppo De Agostini, eccellenza italiana del settore a livello internazionale, che esercita il suo peso politico assieme a “Confindustria Gioco”.
Uno degli interlocutori della questione dovrebbe essere, quindi, Carlo Bonomi, neo presidente dell’associazione degli industriali, che, da capo di Assolombarda, ha spinto fortemente per la ripresa dell’attività nella sua regione colpita duramente dalla pandemia, lamentando la permanenza in Italia di un pregiudizio anti industriale.

Bisogna chiedersi perciò in un dialogo aperto e senza compromessi se l’attività dell’azzardo così congegnata sia in linea con l’articolo 41 della costituzione dove si stabilisce che la libera iniziativa economica privata «non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana».
È noto il parere delle associazioni come Assointrattenimento 2007 che aderiscono a Confindustria e sostengono gli interessi delle aziende dell’azzardo. Ma come ha sempre fatto notare il movimento Slot Mob il nodo centrale resta il sistema delle concessioni da parte di uno Stato che dovrebbe riprendere la gestione dell’azzardo in maniera responsabile e disincentivante l’attuale consumo di massa. Con la prospettiva ovvia di incamerare sempre meno denaro da un settore da controllare con comitati esperti della società civile.

Una impostazione molto chiara esposta, tra l’altro, in una conferenza stampa presso la Camera dei deputati nell’aprile 2016.

La cosiddetta legalizzazione dell’azzardo in Italia si è rivelata un fallimento colossale, una cuccagna per chi ne ha tratto profitto.
Non è una questione moralistica o, come affermano alcuni, d tardivi ripensamenti di ordine etico.

Sembra un controsenso proporre di trarre in prospettiva sempre meno soldi dal sistema dell’azzardo “legale” mentre abbiamo urgente bisogno di risorse per far fronte agli effetti della pandemia. Ed è invece questo il momento di colpire posizioni di rendita passiva e speculativa se si vuole cambiare davvero e ascoltare il messaggio di dolore e rinascita civile che l’emergenza della pandemia ha fatto emergere.

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