Autostima

Una delle conclusioni a cui arriva uno psicologo fresco di laurea dopo poco tempo di pratica professionale è che molti problemi emotivi (tralasciando quelli determinati da valori chimici fuori norma) sono legati agli ingiustificati sentimenti di scarsa autostima che la gente ha nei confronti di se stessa. La considerazione mi sorge spontanea leggendo la lettera di un giovane: Pur sforzandomi, non riesco facilmente a relazionarmi con gli altri, è vero che da piccolo ho avuto dei problemi con i miei genitori che mi rendevano chiuso e timido, ma ormai sono grande, eppure continuo ad avere le stesse difficoltà d’allora che mi rendono inadeguato e incapace perfino di portare a termine i miei impegni in parrocchia… da cosa deriva?. Chiariamo anzitutto che cos’è l’autostima: significa conoscere il proprio valore, la propria dignità, la propria unicità in qualità di persona: è la percezione del mio Sé, del mio vero essere, della parte più profonda di me dove alberga la sicurezza di fare qualsiasi cosa ed il coraggio dell’accettazione dei propri sentimenti, anche quelli negativi. Indipendentemente da come è trascorsa la nostra infanzia ognuno di noi ha il compito di sviluppare una sana autostima. Le premesse in base alle quali dobbiamo affrontare questo compito sono evidentemente diverse. C’è chi sin dall’infanzia ha ricevuto sufficiente fiducia nella vita e in sé stesso. C’è chi invece (come il lettore) da bambino è stato sminuito e svalorizzato, per cui farà più fatica a realizzare il proprio compito. Ma anch’egli può giungere ad accettare sé stesso e la propria storia, a riconciliarsi con le proprie potenzialità e debolezze, scoprire il proprio Sé unico e affermarlo anche davanti agli altri. A questo riguardo Erik Erikson ha avanzato il concetto di fiducia originaria, che consiste nella sensazione di potersi fidare dei propri genitori ma anche di se stessi. Chi ha ereditato dai propri genitori e dalla cerchia familiare questa fiducia originaria, considera il mondo attorno a sé con gli occhi della fiducia: non ha timore di rischiare la propria vita, ha voglia di mettere alla prova le sue capacità, sente di potersi fidare in tutta semplicità dell’essere umano. Diversamente, quando un bambino sviluppa una scarsa fiducia originaria diviene esageratamente autocritico: dubita di sé stesso, delle proprie capacità e del suo essere accettato da parte degli uomini. La fiducia nella vita è la condizione grazie alla quale il bambino può trovare l’identità dell’Io. L’identità dell’Io implica il sentimento di aver accettato tutti gli aspetti della vita e di averli integrati nel proprio Io, comporta il fatto di aver visto il filo d’oro della vita e di aver trovato l’unità interna dell’essere. Una forte identità dell’Io dà sicurezza al bambino nei confronti dei suoi istinti e lo protegge da un Super-Io implacabile, da una coscienza spietata, dalla quale sono tormentati gli uomini privi di fiducia originaria. Erikson ritiene che un’educazione dei bambini fondata sulla religione e sulla tradizione rafforzi la fiducia originaria del bambino nei confronti del mondo. La fede prolunga la fiducia originaria del bambino dall’uomo e dal mondo fino a Dio, al principio originario di ogni essere. Questa fiducia in Dio deve divenire la base di ogni discorso su di lui. Se Dio, però, viene mostrato come il sorvegliante e l’osservatore continuo, anziché la fiducia originaria, il sentimento fondamentale del bambino è la paura originaria: egli si sente controllato, limitato, osservato e giudicato in tutto. Le esperienze infantili coi propri genitori possono incidere sull’immagine di Dio che ci portiamo dentro. Ci è infatti naturale proiettare su Dio l’esperienza che abbiamo vissuto con i nostri genitori. Si stenta a pensare a Dio come Padre, quando è stato negativo il rapporto con il padre naturale. Ma l’immagine di Dio, per un cristiano, è questione di fede rivelata. Non può essere quindi frutto della costruzione dell’uomo. Quante volte in terapia, senza nessuna intenzione da parte mia, ho visto riaccendersi la fede in Dio, nella sua paternità, nel suo amore, anche in persone spesso ferite da traumi e abusi familiari: si sono imbattute nell’Amore, attraverso l’amore di persone extrafamiliari come un collega di lavoro, un dottore, un amico, ecc. Un amore che non è pura amicizia o solidarietà, ma ha radici in quell’arte di amare chiesta dal Vangelo: un amore che sa farsi vuoto davanti all’altro, farsi l’altro, senza interesse alcuno. L’esperienza dell’essere amati da Dio non solo sana i traumi più profondi, ma dà la forza di uscire da sé, amare e creare comunione sociale.

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