Argia e l’onorevole

«Mi hai fatto conoscere Chiara, e a me non basterà la vita eterna per dirti grazie!». Igino Giordani e Argia Papini nei ricordi di un comune amico.
Argia Papini

«Indovina chi sono?», domandò Cesare Cesarini alle spalle della signora fermata lungo una strada di Tor Lupara, i cui occhi aveva coperto con le mani. Tra il sorpreso e il divertito, l’accecata scandì diversi nomi… finché non fu chiaro l’equivoco. «Scusi tanto, l’avevo scambiata per la madre di un mio caro amico…». «Ma si fa presto a fare conoscenza – disse la sconosciuta al giovane, per toglierlo d’imbarazzo –. Mi chiamo Argia e sono di Tivoli».

Qualcosa di speciale, in quella signora sulla sessantina ma dal piglio giovanile, attirava Cesare. Il quale, saputo che era diretta dalle Suore della Misericordia, un ricovero per anziani dove ogni tanto lui andava a trovare una sua conoscente, ve la accompagnò. Quel giorno (era il giugno del 1972), all’istituto, chiacchierarono come due vecchi amici e si lasciarono con la promessa di rivedersi, cosa che avvenne presto.

Solo un’ora prima del suo originale incontro con l’arzilla tiburtina, dopo anni che non lo faceva, Cesare s’era confessato da un missionario spagnolo che durante il suo anno sabbatico prestava servizio nella locale chiesa di Gesù Maestro.

«Qualche attimo dopo di me anche Argia – ricorda Cesare, che lo venne a sapere in seguito – andò a confessarsi dallo stesso sacerdote, il quale le chiese di offrire i suoi sacrifici per un giovane da poco convertito… cioè io. Non è straordinario l’amore con cui Dio ci segue personalmente intrecciando esistenze diverse?».

Tra il ventenne di Tor Lupara e quell’anziana sola, che alternava alcuni mesi all’anno presso una clinica a Colle Cesarano, nei dintorni di Tivoli, ad altri nella casa di riposo in quella frazione alle porte di Roma, nacque un’intesa non così frequente tra generazioni diverse. Che importava se, per via della depressione di cui soffriva, Argia era portata a parlare per ore a ruota libera? Cesare trovava nel suo divagare una sapienza, una profondità spirituale che lo attiravano irresistibilmente.

Quell’amicizia era destinata a segnare una svolta nella sua vita: fu quando Argia gli comunicò l’ideale dell’unità accolto da Chiara Lubich dopo un tempestoso incontro avuto con lei durante un ritiro spirituale ad Assisi, incontro nel quale la fondatrice dei Focolari aveva risolto ad Argia un grave problema spirituale.

«Durante quel colloquio – riprende Cesare – la mia amica, un carattere fiero, ribellandosi a quanto le veniva detto, chiusa in camera, fra le lacrime, si tormentava: “Nessuno mai ha osato parlarmi in maniera così categorica come quella maestrina di Trento! Ma chi è per rivolgersi con quel tono a me che ho un ruolo nell’Azione cattolica di Tivoli e un gruppo di giovani che pendono dalle mie labbra?”. Rimuginando queste cose, Argia passò la notte insonne, finché esausta, alle prime luci dell’alba, alzò bandiera bianca e andò ad annunciare a Chiara che accettava il suo suggerimento riguardo a una importante decisione da prendere. “Bene, carissima Argia – si sentì dire –. Dio ti ama immensamente: per questo ti chiamerai “Amata”. Quanto a noi, stiamo iniziando una nuova strada nella Chiesa. Se vuoi, puoi unirti al nostro gruppo”. E si scambiarono gli indirizzi».

 

A sua volta Argia fu uno dei tramiti perché lo scrittore e politico Igino Giordani, suo concittadino e amico, incontrasse la fondatrice dei Focolari. Le cose avvennero così.

«Nei primi anni del dopoguerra Argia gestiva una cartoleria a Tivoli – prosegue Cesare –, da cui spesso si serviva Giordani. Poiché per una settimana l’esercizio era rimasto chiuso, al ritorno della titolare, l’onorevole col suo fare scanzonato, le chiese: “Argia, in quale altro santuario sei andata a finire questa volta?”.

«“Giordà, altro che santuario! Ho conosciuto ad Assisi delle ragazze che vogliono rivoluzionare il mondo col Vangelo!”. Al che l’altro, scherzando: “Eh, ne ho conosciuta di gente che voleva cambiare il mondo, di visionari che prevedevano il ritorno prossimo del Messia… Ne riparliamo un’altra volta”.

«Quando poi Argia seppe che Chiara cercava un appartamento per il primo focolare a Roma, le fece osservare che era una vera impresa trovarne uno: a meno che non si conoscesse un politico. E lei, Argia, era appunto amica dell’onorevole Giordani, che era di casa nel suo negozio».

La successiva storia è risaputa. Come cioè il 17 settembre 1948 Chiara si presentò assieme a tre rappresentanti della famiglia francescana e ad un altro laico a Montecitorio da Giordani che, nel sentirla parlare degli inizi dei Focolari (Chiara s’era letteralmente dimenticata di accennare all’appartamento), rimase folgorato e per non perdere i contatti, con uno stratagemma, la invitò a scrivere quella storia per la sua rivista Fides. E come Giordani, col nome nuovo di “Foco”, diede un apporto incalcolabile al movimento, considerato da Chiara un confondatore.

Ma non si limitò a quella volta il ruolo di Argia nei confronti della Lubich. «Era il periodo – prosegue Cesare – in cui i Focolari erano sotto studio da parte della Chiesa e Chiara si sentiva schiacciata nel fisico e nello spirito dalle martellanti indagini del Santo Uffizio. Argia, che tra l’altro era figlia spirituale di padre Pio, durante una sua visita al santo frate di Pietrelcina, gli aveva raccontato: “Conosco una giovane di Trento, Chiara, che con altre compagne e compagni che vivono il Vangelo – li chiamano focolarini –, vuole portare l’unità, ma la Chiesa ancora non li riconosce. «E lui: “Di’ a questa Chiara che stia serena, perché tra vent’anni questo spirito invaderà il mondo”.

«Subito Argia trasmise a Chiara, che ne ricevette tanta consolazione, questa risposta che si sarebbe rivelata profetica».

 

Quanto a Cesare, il suo primo incontro con Foco avvenne al Centro Mariapoli di Rocca di Papa, in occasione di un congresso di giovani del movimento. A lui che sedeva su una panchina bianca, sotto il vasto ombrello di un pino, le gambe coperte da un plaid a quadri, Cesare consegnò una lettera da parte dell’amica. «Argia… una gran donna, sai? – lo ringraziò Giordani –. Aspetta, siediti un po’ qui accanto a me». Aprì la busta con dita esili e un po’ tremanti, e cominciò a leggere il foglio visibilmente contento. «Poi le risponderò – disse alla fine – … anzi no, aspetta: è meglio che lo faccia subito, così la lettera mi fai il favore di portargliela tu e le arriva prima che con la posta». Con la sua stilografica scrisse qualcosa sulla stessa busta. «Ecco!… Una gran donna, Argia – ripeté –. È anche tua amica?». «E come no! È stata lei a farmi conoscere l’ideale dell’unità!». Al che Foco: «Anche a me, sai! È successo tanti anni fa… Tu non sai quanto le devo…».

Più volte Cesare fece da tramite per questa corrispondenza tra Argia e Giordani che le rispondeva immediatamente: «Temeva forse che un ritardo da parte sua l’avrebbe indotta a dubitare dell’amore di Dio per lei. “Tu la conosci, sai come è fatta”, spiegava Foco. E scriveva: “Argia, Dio ti ama immensamente. Non rattristarti per non essere entrata in focolare, non hai tradito l’ideale dell’unità, per te era un’altra la volontà di Dio. Il suo disegno su di te è grande: mi hai fatto conoscere Chiara, e a me non basterà la vita eterna per dirti grazie!” e altre espressioni del genere con cui manifestava la sua riconoscenza.

«Lì ho imparato – riprende Cesare – l’umiltà di quest’anima grande che era Foco. A distanza di anni, ritengo che quella furbacchiona di Argia, pur di avere uno scritto di Giordani, gli faceva temere che le venissero dubbi di fede. In realtà lei di fede ne aveva tanta da trasportare le montagne!».

E un altro ricordo: «Il 18 aprile 1980 moriva Giordani. Allora già non vivevo più a Tor Lupara, ma per motivi di lavoro ero a Roma in quei giorni. Così mi fu possibile raggiungere Argia a Colle Cesarano e accompagnarla per la messa funebre a Rocca di Papa, dove, sotto una pioggerella insistente, rividi la famosa panchina dei miei incontri con Foco».

Agli inizi del suo percorso spirituale, Cesare aveva partecipato con Argia alla sua prima Mariapoli, in Abruzzo. «Tu però hai bisogno di una Mariapoli di 365 giorni all’anno», aveva sentenziato lei, che già pensava a mettersi da parte, ritenendolo ormai provvisto di ali abbastanza forti da spiccare il volo per conto suo: ciò che si sarebbe realizzato più tardi quando Cesare, per rispondere a una chiamata di Dio, andò a vivere nella cittadella dei Focolari vicino a Firenze

«A Loppiano, dove feci un’esperienza di due anni, fino all’ottobre 1978, fui raggiunto dalla sua ultima lettera, che si concludeva così: “Tu, Cesare, un po’ figlio della mia anima, seguendo Chiara, hai reso la mia notte luminosa».

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