Anuarite Nengapeta

La semplice e straordinaria esistenza di una giovane donna africana che realizza pienamente il disegno di Dio scritto nel suo nome. La scelta radicale di Gesù fino al martirio.
Anuarite Nengapeta

“La nostra condizione è quella di una ragazza che è stata scelta dal Re per essere sua sposa. La nostra vocazione è l’amore, servire Dio. Ci sono molte funzioni, ma Dio è unico; ci sono molte famiglie religiose, ma hanno tutte un unico scopo. La nostra vocazione è l’amore, servire Dio. Il Signore Gesù, quando ci ha chiamate, ci ha chiesto il sacrificio: il sacrificio dei beni di questo mondo, il sacrificio dell’amore umano, fino al sacrificio delle nostre persone”1.

Il giorno della beatificazione di Anuarite da parte di papa Giovanni Paolo II, il 15 agosto 1985 a Kinshasa, il vescovo di Isiro Niangara, ha sintetizzato così la sua vita: “Mentre lo Zaire era dilaniato da sanguinosi conflitti interni, durante i quali furono massacrati molti religiosi, una banda di giovani Simba, spinti dall’odio nei confronti della fede cattolica, il 29 novembre (1964) prelevarono dal convento delle Suore della Sacra Famiglia di Bafwabaka 18 suore professe, 9 novizie e 7 postulanti. La serva di Dio, che per caso si trovava in un campo non lontano dalla casa, volle raggiungere le consorelle dicendo: ‘Che cosa facciamo qui? Andiamo; se bisogna morire, moriamo insieme’.

Le suore furono portate a Ibambi, dove passarono la notte. Sr. Clementina, come se presagisse la morte ormai vicina, esortava con calma le consorelle a vegliare e a pregare: ‘Preghiamo i martiri dell’Uganda, siamo in grande pericolo; preghiamo, preghiamo! Per quanto mi riguarda, non so se domani sarò ancora viva… Sorelle, so che sto per morire’.

Il 30 novembre arrivarono a Isiro. Fu in quel luogo che in tutti i modi, e con crudele sfacciataggine, venne ordinato alle religiose di prostituire la loro verginità in quella stessa notte, con i soldati che le avevano sequestrate.

Sr. Maria Clementina fu scelta per il comandante. Unanimi, le suore e la serva di Dio si rifiutarono energicamente di obbedire. Di fronte all’infame ostinazione dell’ufficiale, che le prometteva grandi favori se avesse acconsentito, Anuarite rispose con forza e con volontà ostinata: ‘Non posso sopportare di diventare la moglie di un uomo; se è necessario, preferisco morire; mi rifiuto, sono consacrata a Dio… Non posso far questo, non posso commettere questo peccato: piuttosto uccidetemi’.

L’ufficiale, furibondo, cominciò a percuoterla con violenza, ma non poté spezzare la resistenza della serva di Dio, che offriva la sua vita come sacrificio di soave profumo, mormorando il nome santo di Gesù.

Infine, nell’ora in cui il buio cominciava ad oscurare ogni cosa, sr. Maria Clementina Anuarite Nengapeta fu assassinata con un colpo di fucile, all’una di notte del primo dicembre 1964. Al coraggio di affrontare la morte, seppe associare la virtù cristiana del perdono: ‘Ti perdono, disse ad alta voce al suo carnefice, perché non sai quello che fai’. Nello stesso momento, le altre suore si erano messe a cantare il Magnificat”.

Sono questi, a grandi linee, gli avvenimenti che hanno condotto Anuarite al martirio. Aveva 25 anni di età e 5 anni di professione religiosa nella congregazione diocesana delle Suore della Sacra Famiglia.

Si burla della guerra

Era nata nel dicembre 1939 a Wamba, nella provincia nord-orientale dell’allora colonia del Congo-Kinshasa e fu chiamata Nengapeta che vuol dire “come arricchirsi” o “agile colomba”. Poco dopo la chiamarono “Anuarite”, una che “si burla della guerra”.

Quando aveva due o tre anni Anuarite fu battezzata con il nome di Alfonsina, lo stesso giorno di sua mamma Julienne. Dopo la scuola elementare a Wamba e la scuola magistrale a Bafwabaka, ricevette il titolo di maestra nel 1961. Nel frattempo entrò nella Congregazione delle Suore della Sacra Famiglia, fondate dal Vescovo di Wamba, Mons. Wittebols.

In occasione della prima professione, nel 1959, Anuarite prese il nome di Maria Clementina. Da maestra e direttrice dell’internato si occupava soprattutto delle alunne malate o con problemi e seguiva anche gruppi della Legione di Maria. Di carattere gioviale, diventava severa davanti agli scandali e ai cattivi esempi. Nulla di straordinario vi era nella sua condotta. Non brillava per intelligenza né per incanto fisico, ma era tenace e si applicava con impegno nella vita consacrata.

Gesù solo

Anuarite aveva scelto “Gesù solo”, l’Amico, lo Sposo: “Io mi sono consacrata a Gesù solo. Cercherò dunque di piacere a lui e di riconoscere che tutto quello che mi succede è volontà sua. Non ho forse pronunciato dei voti? Restare calma, nei momenti di gioia come nelle difficoltà, nell’ora della malattia come nel momento della prova. Bisogna che accetti ogni cosa, sì! Non è forse per questo che sono venuta qua?”.

Nei momenti più difficili scrive: “Signore, eccomi spiritualmente malata. Sono venuta qui a cercare il rimedio per guarire, cioè per guadagnare il cielo. Signore, dammi la forza di non ricadere più nel mio stato di malattia, di non tornare di nuovo indietro o nel mondo. Non hai forse versato per me il tuo sangue? E anche per gli uomini neri? Rispondimi. Gesù, Maria, Giuseppe, mi metto nelle vostre mani”.

Con l’entusiasmo della sua anima ardente e del suo carattere vivace, Anuarite chiede l’aiuto di Dio: “Gesù, concedimi la grazia di morire, anche sull’istante, piuttosto che abbandonarti”.

Non piacere che a Lui solo

Anuarite cercava unicamente Gesù e la sua volontà: “Non lasciate che mi allontani da voi. Ottenetemi anche la grazia di riconoscere la volontà di Dio in tutto ciò che mi è vietato dalla regola o che mi è comandato dalle mie superiore; ottenetemi di essere pronta a riconoscere le astuzie del demonio e dei suoi seguaci… Mi sono consacrata a Gesù solo. Cercherò dunque di piacere a lui e di riconoscere che tutto quello che mi succede è volontà sua”.

Desiderando di “non piacere che a Gesù solo” pregava molto e con intensità. La sua meditazione era un incontro quotidiano tra lo Sposo e la sposa, un momento di felicità: “Bisogna essere felici, nell’ora della meditazione, perché è il tempo del riposo e del colloquio col Signore, come quando due fidanzati parlano fra loro senza pensare allo sforzo o alla fatica. Se ti senti tiepida nell’ora della preghiera, non devi scoraggiarti. Continuiamo a supplicare.

Anche se il tuo cuore è arido, supplica sempre. Il Signore Gesù si stupirà e dirà: ‘Anche quando le volto le spalle, non si stanca’. Parlare col Signore durante la meditazione. Chi si stancherebbe a parlare col suo fidanzato? Non si ama forse pensare a lui? Noi, che siamo consacrate, dobbiamo pensare ancora più spesso allo sposo delle nostre anime”.

Il suo modo di amare

Anuarite era una religiosa trasparente, piena di serenità e di gioia. Sembrava una ragazzina che non avesse paura di niente. A causa del suo carattere forte, di tanto in tanto si adirava, ma ben presto si calmava e non si dava pace, finché non si fosse riconciliata.

Sapeva amare tutti senza distinzioni. A casa, a scuola, in convento, nei giochi, con i bambini, con le consorelle, non si risparmiava, ma si faceva tutta a tutti. Divenuta religiosa, si mise ad aiutare coloro che erano nel bisogno, come afferma un testimone: “Era gentile con tutti, senza distinzioni. Era sempre pronta ad aiutare chiunque si trovasse in difficoltà…, anche all’esterno del convento, senza che nessuno glielo chiedesse; aiutava le mamme a portare i loro bambini”.

Assisteva volentieri i più deboli, nella misura in cui i suoi doveri e i suoi incarichi glielo permettevano, e in particolare alcuni bambini difficili: “Per eliminare la paura di quei due bambini, bisogna che io manifesti loro più affetto. Se hanno qualche problema, essere vicina a loro per aiutarli. Così potrò sistemare tutto in modo che fra noi non ci sia acredine… non dobbiamo aiutare soltanto quelli che amiamo”.

Obbediente fino alla morte

Anuarite era una donna forte e tutta d’un pezzo. Si può immaginare quanto abbia dovuto dominarsi per progredire realmente nell’obbedienza. Lo faceva per somigliare al suo Signore, obbediente fino alla morte di croce: “Non c’è nulla che sia piccolo davanti a Dio, se lo fai per amore… Se riesco a osservare il voto di obbedienza, riuscirò anche a osservare quello di povertà, perché mi abbandono senza inquietudine fra le mani delle mie superiore; aspetto soltanto che mi comandino. La superiora, invece, ha molti problemi: dorme male, perché pensa a quello che deve fare affinché le sue figlie possano progredire. Ho dunque il dovere di aiutarla, obbedendo ai suoi ordini”.

Il suo spirito di obbedienza si capisce alla luce dello spirito di umiltà che l’animava: “Se le superiore ci lodano per il bene che abbiamo fatto, diciamo nel nostro cuore: ‘Grazie, Signore, per avermi aiutata; perdono, Signore, per la mia povertà’. Se non ci lodano o ci rimproverano, diciamo: ‘Portiamo tranquillamente pazienza per piacere a Dio’. Se le superiore ti rimproverano o ti umiliano, e tu cerchi di difenderti, vuol dire che non possiedi ancora l’umiltà… Bisogna leggere spesso il Vangelo. Non c’è santità senza umiltà… Gesù vuole che io gli dia la chiave del mio cuore: questa chiave è la mia libera volontà”.

Quando Anuarite scrive il suo diario, era appena avvenuto il passaggio dalle superiore di origine belga alle superiore congolesi. Quasi certamente alle une come alle altre si era permessa molte volte di dire la verità apertamente e con semplicità. Una superiora ricorda: “… erano arrivati alcuni stranieri e io non avevo fornito in tempo il cibo che doveva essere preparato per loro. Mi ha chiamato in ufficio per consigliarmi. Dopo questo consiglio, le ho detto: ‘Grazie!’… Accettavo che mi consigliasse, perché lo faceva con gentilezza e carità. Quando è morta, mi sono detta: Non ho più nessuno che mi dia consigli, avrò dei problemi. In effetti ne ho avuti”.

Il fiore più bello

Come tutte le donne del suo ambiente, Anuarite apprezzava la gioia di essere sposa e madre ed era consapevole del valore della vita da ricevere e da trasmettere. La giovane Alphonsine vedeva le religiose che lavoravano in parrocchia e nella scuola. Anche loro erano donne, ma erano donne nubili che vivevano per Cristo e che amavano nel Cristo tutti quelli che incontravano senza discriminazioni. Nella sua preghiera di adolescente cresceva giorno dopo giorno il suo desiderio di vivere solo per Gesù, come facevano le religiose.

Anuarite aveva capito molto presto che, per diventare religiosa, era chiamata a consacrare al Signore la sua verginità. Era il dono più bello, che custodiva gelosamente, per offrirlo al suo Signore, lo Sposo delle vergini consacrate. Il giorno della sua beatificazione il card. Malula l’ha chiamata “figlia della nostra razza”.

È il fiore più bello del popolo congolese. Il suo fermo proposito di vivere nella verginità non era qualcosa di scontato: vivendo in mezzo a persone che apprezzavano poco la verginità consacrata, Anuarite aveva dovuto riflettere e pregare per mantenersi fedele al Signore. Le religiose e i sacerdoti che vivevano nel celibato rafforzavano la sua vocazione e la aiutavano a procedere con fiducia e con serenità. Anuarite voleva ardentemente trovare la sua gioia soltanto in Gesù.

La sua pratica della castità affondava le radici in una vita semplice, impregnata di carità, di preghiera, di gioia e di prudenza: “Non preoccuparsi di nulla. Sapere innanzitutto che cosa Dio vuole da me quando mi ordina qualcosa. Se cerco la mia gioia al di fuori di Gesù, sappi bene, anima mia, che non puoi trovare consolazione. Gesù, dammi uno spirito di preghiera e di fedeltà per osservare la mia regola. Dammi la forza di non fidarmi di me stessa dicendo: ‘Non c’è pericolo’.

Vergine prudente, che io sia prudente. Se voglio essere una ragazza saggia, devo amare la madre del mio beneamato Gesù, cioè Maria. Accetterò tutto quello che mi succede, perché è volontà di Dio. Sono venuta qui per seguire chi? Le superiore? Le consorelle? Le bambine? Tutti gli uomini? Niente di tutto ciò. Non sono forse venuta per il mio beneamato, Gesù? Mamma Maria, custodiscimi come custodivi il mio omonimo Alfonso. Quando vengo meno, guardami con i tuoi occhi materni, perché io possa venire a te. Gesù, Maria, Giuseppe, custoditemi”.

La terrò sempre con me

Una religiosa comboniana racconta un curioso episodio che ci aiuta a conoscere più a fondo la sua spiritualità mariana: “Sr. Anuarite amava la Vergine Maria di un amore ardente e appassionato. Un giorno, poco prima dell’arrivo dei Simba a Wamba, era venuta a trovarmi in ospedale. Avevamo appena ricevuto dall’Italia certe statuette della Madonna che piacevano molto alla gente. Conoscendo l’inclinazione del suo cuore, gliene abbiamo regalata una. Rivedo ancora i suoi occhi sfavillanti e il suo sorriso angelico quando prese in mano, con straordinaria grazia e delicatezza, quell’umile statuetta. Per un momento rimase muta e come rapita in estasi, poi lasciò parlare il suo cuore, uscendo in esclamazioni ardenti come: O Bikira Maria, safi mno! O Vergine Maria, tutta pura!

Stringeva al cuore la statuetta e la contemplava con lo sguardo indicibile di chi non può contenere il suo amore per la persona amata. Prima di andar via ci ringraziò più volte, e quando stava per scomparire dietro la prima curva della strada si voltò ancora una volta, ci salutò, strinse la sua cara statuetta e ci gridò: ‘La terrò sempre con me!’. Se chiudo gli occhi la rivedo ancora, ed è l’immagine che conserverò sempre di sr. Anuarite, con il suo entusiasmo giovanile, quasi infantile, con il suo ingenuo candore, senza affettazione, con il suo sguardo ardente e il suo volto sfavillante di gioia”.

“La terrò sempre con me”. Quando hanno cercato il suo corpo per riesumarlo, è stato possibile identificarlo anche grazie alla statuetta che aveva con sé. La sua devozione mariana si esprimeva anche attraverso la recita del rosario. Due sue compagne raccontano: “Aveva una simpatia particolare per il rosario. Con discrezione e con passo svelto, spesso andava alla grotta di Lourdes che era stata costruita nel nostro modesto giardino. Là recitava il rosario, con gli occhi fissi sulla statua. Quando poteva, prendeva con sé un gruppo di bambini, orfani o alunni della scuola, e pregava con loro; la suora insegnava ai piccoli a recitare con amore le lodi della Vergine.

Le piaceva particolarmente recitare il rosario durante il lavoro. In cucina o in sagrestia, quando si faceva il bucato e quando si stirava, invitava le sue compagne a recitare il rosario ad alta voce”. Dice un’altra religiosa: “Nei giorni che hanno preceduto la sua morte, l’ho vista pregare più volte alla grotta della Santa Vergine, soprattutto nelle ore serali”.

Andiamo in cielo, con gioia

Ascoltando i testimoni sulle ultime ore di questo martirio, impressiona la sua dimensione comunitaria. In un primo tempo è Clementina a chiedere e a ricevere l’appoggio e la preghiera delle consorelle: “Sorelle care, bisogna pregare molto. Il nostro spirito è pronto, ma la nostra carne è debole. Per quanto mi riguarda, non rimarrò con voi fino a domani… Sorelle, credo veramente che morirò stanotte”.

Si rendeva conto che rischiava di perdere la verginità che aveva donato a Dio. In piedi, disse ad una sua compagna: “La mia anima è inquieta”. Poco dopo la cena, disse ancora alla stessa compagna: “Preghi per me”. La consorella le promise di farlo e Anuarite la ringraziò gentilmente.

Madre Kasima e Madre Kahenga chiesero invano al colonello Olombe di aver compassione di quelle religiose. Lui cercò di far salire in macchina una di loro che gli oppose resistenza. Allora la sua collera crebbe e cominciò a percuoterle. Anuarite gli disse: “Non voglio commettere peccato. Se vuole, mi uccida”.

Pazzo di collera, Olombe cominciò di nuovo a percuoterla. Mentre veniva colpita, Anuarite trovò la forza di dire: “La perdono, perché non sa quello che fa”. Olombe prese il fucile di un ribelle e cominciò a colpire le due religiose col calcio del fucile. Con la testa tutta tumefatta, lei rimaneva ancora in ginocchio e mentre Olombe la colpiva, Anuarite diceva: “Ndiyo nilivyotaka. Ndiyo nilivyotaka (Così ho voluto)”. E cadde per terra.

Dopo la sua morte, le sue consorelle, mentre venivano picchiate e ferite, sentivano in loro la forza di Anuarite che le aveva precedute nella fedeltà ed ora le sosteneva dal cielo. Quando alla fine i Simba minacciarono di cospargerle di benzina e di bruciarle vive, la risposta corale di quella comunità fu il canto del Magnificat.

Mentre si preparavano alla morte, si chiesero perdono a vicenda per le loro mancanze di carità fraterna. Dicevano le une alle altre: “Fra poco moriremo, andremo in cielo, allora andiamoci con gioia”. Il canto del Magnificat a tre voci spaventò il colonnello che andò in collera. Proibì loro di cantare: “Smettetela. Voi pregate Dio perché mi uccida”. Ma le religiose non ascoltarono le parole del colonnello e continuarono a cantare.

Per tutta la notte, Olombe e i Simba malmenarono le religiose: schiaffi, bastonate, colpi con il calcio dei fucili e con sbarre di ferro. Fortificate dalla loro sorella Anuarite, resistettero vittoriosamente. Al sorgere del sole, quando i Simba si accorsero che i loro sforzi erano stati vani, dissero: “Non abbiamo mai visto delle donne con un cuore duro come il vostro. Sono streghe, non vogliamo più vederle qui a Isiro. Andatevene a Bafwabaka”.

Il corpo della beata Maria-Clementina Anuarite Nengapeta, vergine e martire, riposa per ora nella cattedrale di Isiro, in attesa di essere trasferito nel Santuario Nazionale Beata Anuarite, che la Conferenza Episcopale sta costruendo.

La Chiesa di Dio in Africa ha dato al mondo una religiosa eroica, modello di umile semplicità, di obbedienza docile e libera, di fraternità, di perdono e di comunione, che ha dato la vita fino al martirio per affermare il valore della verginità per il regno dei cieli.

 

NOTE

1 Diario di sr. Anuarite, Ritiro del 27/06/1964, in M. Otene, La Beata Anuarite Nengapeta Vergine e Martire e la sua guida spirituale Joseph Wittebols, vescovo di Wamba, <proposta.dehoniani.it/txt/anuarite.html>. Tutte le altre citazioni provengono da questa pubblicazione.

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