Angelo Clareno e Bonaventura. Dove va la storia?

Andiamo avanti o andiamo indietro nel cammino storico della Chiesa? Due risposte diverse dalla tradizione francescana
Clareno e Bonaventura

Riguardo alla sviluppo della Chiesa ci sono varie interpretazioni che si pos­sono ridurre fondamentalmente a due: una visione negativa, che afferma che allontanandosi dalle origini lo slancio dimi­nuisce; e una visione positiva che afferma che quello che in origine era contenuto come in un seme si sviluppa attraverso i secoli: il seme diventa albero e man mano che cre­sce si vede meglio quello che all’inizio era solo una potenzialità. Senza entrare in tante esemplificazioni riportiamo due esempi dalla tradizione francescana: Angelo Clareno e san Bonaventura.

 

Angelo Clareno: involuzione nella storia

Clareno era un discepolo dei primi com­pagni di Francesco, entrato nell’ordine quasi mezzo secolo dopo la morte del fondatore. La fraternità francescana si era sviluppata in numero ed estensione dando origine a varie interpretazioni dell’ideale fondativo1. Clareno segue la visione degli spirituali, i quali cercava­no di vivere, in modo radicale e alle volte anche esagerato, la vita del Poverello e i suoi primi compagni, specialmente riguardo alla povertà materiale.

 

Quando Clareno descrive il cammino dell’ordine francescano dall’origine fino ai giorni suoi2 esalta il tempo e l’ideale di san Francesco, mentre vede nell’evoluzione suc­cessiva un allontanarsi dall’idealità. Quasi come un paradosso parla di progresso verso il peggio (“Progressus… ad peiora”, Prologo 201), in altre parole una involuzione.

I frati, secondo Clareno, non osservano più il Vangelo e specialmente la povertà co­me era la prassi nei primi tempi: “Si danno ad ammassare denaro, testamenti e legati; di conseguenza senza alcun pudore si abbando­nano a litigi, si allontanano dall’amore alla santa povertà, umiltà e orazione… si danno con grande ambizione alla scienza e al lettorato, an­teponendo le parole alle virtù, la dottrina alla santità, l’ampollosità e l’arroganza all’umiltà… scandalizzano i laici con la cupidigia di beni e con l’ammodernamento, la sontuosità e la ricer­catezza dei loro edifici” (Prol. 204-214).

 

Per descrivere la storia dell’ordine Cla­reno applica alle vicende storiche l’immagine della statua con la testa d’oro e i piedi d’argilla conosciuta dal profeta Daniele: “Mentre Fran­cesco era in preghiera gli apparve un angelo del Signore di meraviglioso aspetto. Aveva il capo d’oro, le braccia ed il petto di argento, il ventre di bronzo, le gambe di ferro, i piedi di argilla e di terracotta; sulle spalle una veste di sacco spre­gevole e ruvido… Francesco al vedere questo, rimase stupefatto. L’angelo gli disse: ‘Perché ti sorprendi e meravigli?’”.

 

Questa immagine significa “il principio, lo sviluppo e il termine che toccherà al tuo Ordine”: Francesco e i suoi compagni sono il capo d’oro, mentre gli altri metalli significano periodi seguenti in cui i frati “abbandoneranno lo stato dell’aurea vita umile e povero… scambiando così l’oro con l’argento freddo e poroso; dato che parleranno molto ma combineranno poco… convertiranno l’argento in bronzo… sentendosi scadere di stima agli occhi dei loro estimatori e svilire ogni giorno di più, cominceranno ad irritarsi e sdegnarsi e a perseguitare quelli che non li onorano più; muteranno così il bronzo sonoro e dorato in ferro duro ed aspro… Come il ferro nei piedi è mescolato alla terracotta, così i frati, alla fine saranno come il ferro corrivi e duri a far del male, ma impazienti e fragili come la terracotta. Di modo che quelli che da principio furono di oro purissimo, perché rivestiti dell’a­more di Cristo, alla fine dei giorni… verranno ritenuti come vasi di creta” (Prol. 307-331).

 

Clareno aggiunge la reazione di France­sco a questa visione: “Ricolmo nell’intimo di tristezza per le cose viste ed udite, si sciolse in angosciosi lamenti davanti al Signore. Allora gli apparve Cristo e gli disse: ‘Perché ti turbi e ti rattristi tanto, Francesco? Sono io che ti ho chiamato dal mondo, idiota com’eri, infermo e semplice, per manifestare in te la mia sapienza e potenza… Io custodirò te e quanto per tuo mezzo ho istituito e piantato. Rimetterò in pie­di le cose cadute e riedificherò quelle distrutte; rimpiazzerò con altri quelli che defezioneranno; se non fossero ancora nati, li farò nascere; se l’Ordine tuo fosse ridotto al numero di tre, per mia grazia rimarrà indistruttibile fino alla fine dei secoli’” (Prol. 335-347).

Anche se Angelo Clareno esprime un giu­dizio alquanto negativo sul cammino della sua famiglia religiosa, non manca in lui una nota positiva: l’opera di Dio non può essere distrutta dagli uomini, ma attraverso un intervento di Cri­sto sarà ricollocato nell’antico splendore ideale.

 

Bonaventura: progresso nella storia

Bonaventura, invece, fa valere più il positivo dello stesso cammino storico, pur conoscendo e menzionando elementi nega­tivi. Per presentare la sua visione sulla storia è utile dare uno sguardo alla sua vita e alle sfide che ha dovuto affrontare. Bonaventura ha conosciuto l’ideale francescano mentre era studente all’università di Parigi, il centro scientifico più importante del suo tempo. I seguaci di san Francesco vivevano in quel­la città da due decenni e suscitavano una grande attrattiva al giovane studente, nato nel 1217 a Bagnoregio in Italia e nella sua gioventù guarito per l’invocazione di san Francesco.

 

Quando nel 1257, a 31 anni dalla morte del fondatore, veniva eletto ministro gene­rale, l’ordine francescano si trovava in una situazione delicata. C’erano gli attacchi di certi professori universitari che difficilmente accettavano la novità degli ordini mendi­canti, Domenicani e Francescani. Avevano difficoltà pratiche e teoretiche a collocare lo stile di vita di questi nuovi movimenti nella struttura esistente della Chiesa.

 

Dedi­carsi all’apostolato vivendo in povertà era in conformità col disegno di Dio? Non era un’ideale esagerato e troppo alto per la natu­ra umana? E soprattutto: il progetto di vita di questi nuovi gruppi era una novità mai verificatasi nella storia della Chiesa. Neanche Gesù aveva voluto vivere così radicalmente povero, dato che Giuda portava una borsa con soldi per Lui e per gli apostoli.

 

Bonaventura risponde a queste obiezio­ni dando una sua visione della storia della Chiesa: “Secondo la disposizione della divina sapienza Dio dispone e ordina tutte le cose nei loro tempi. Nel primo tempo della Chiesa suscitò uomini potenti per miracoli e segni – come furono gli apostoli e i loro discepoli. Nel tempo intermedio suscitò uomini dotati dell’intelligenza delle Scritture e delle ragioni vitali. Così in quest’ultimo tempo ha suscitato uomini che mendicano per libera scelta e che sono poveri quanto alle cose mondane. Di certo questo era ben conveniente, affinché fosse distrutta per mezzo dei primi l’idolatria e i portenti degli idoli, per mezzo dei secondi l’eresia, per mezzo dei terzi la cupidigia, che regna soprattutto sul finire del mondo3.

 

Teologia della storia

Bonaventura afferma che nel disegno di Dio con la Chiesa esiste progressione. Le parole della Scrittura, che contengono come in un seme tutta una potenzialità, maturano attraverso i secoli e portano frutti man mano che la storia avanza. Nei primi dodici secoli i testi evangelici sulla povertà non potevano ancora essere messi in pratica in modo così radicale come hanno fatto Francesco e il suo ordine, perché i tempi letteralmente non era­no ancora maturi.

 

Grazie allo studio di J. Ratzinger sulla teologia della storia in Bonaventura4 possiamo capire meglio il ragionamento del Dottore Serafico. Bonaventura trova il corso della storia prefigurato nella Sacra Scrittura, che lui considera in modo dinamico: lì vede semi che crescono e maturano fino alla piena fioritura. Tutto lo sviluppo della storia è abbracciato dalle parole della Bibbia. Per questo motivo l’esegesi della Scrittura indica lo sviluppo del­la storia. Ogni spiegazione di una parola della Bibbia costituisce un momento in una linea evolutiva e dinamica della storia. La Parola di Dio viene capita sempre meglio man mano che la storia progredisce, come la conoscenza d’un bambino aumenta nella misura in cui cresce negli anni.

 

Questo approccio viene chiamato teo­logia della storia, dove viene evidenziato il carattere salvifico della storia profana. Bona­ventura vede un parallelo tra i sei giorni della creazione e lo sviluppo della storia. Egli porta una novità riguardo alla visione della storia di Agostino. Il vescovo di Ippona, partendo dai sei giorni della creazione, distingue nella sto­ria sei età e afferma che con la venuta di Gesù si è arrivato all’ultimo periodo della storia. In Gesù c’è la pienezza della salvezza e quelli che nascono dopo di Lui debbono guardare al momento culmine della storia che si trova indietro. La storia della Chiesa sviluppa una pienezza già presente e non aggiunge niente di nuovo. Il concetto di Agostino è retrospettivo.

 

Bonaventura riprende la visione dei sei giorni della creazione, ma aggiunge un ele­mento nuovo, molto sentito nel suo tempo. Per lui la prospettiva cambia. Lui non guarda indietro alla pienezza già realizzata in Cristo, ma svolge il suo sguardo verso il futuro, verso la piena realizzazione di ciò che Gesù aveva portato in forma completa, ma germinale. La storia dopo Gesù porterà una vera novità, nuovi sviluppi del messaggio evangelico.

 

Non aveva Gesù stesso detto ai suoi discepoli: “Voi farete cose più grandi di me” (Gv 14, 12)?

Una citazione: “Cristo non dovette venire al principio del tempo, perché la sua venuta sarebbe stata troppo affrettata; e neppure alla fine dei tempi, perché allora sarebbe stato troppo tardi. Conveniva che il Salvatore introducesse il tempo del rimedio nel tempo interposto [in medio] tra quello della malattia e quello del giu­dizio. Conveniva che il mediatore precedesse al­cuni dei suoi membri, ed altri lo seguissero5. La pienezza dei tempi è anche il centro del tempo e Bonaventura spiega persino la mediazione della salvezza da parte di Gesù in senso cro­nologico. Gesù doveva venire a metà del corso della storia. Lui ha portato ancora qualcosa di nuovo nella storia che continua dopo di Lui.

 

Tutta questa visione fa da sfondo alla risposta che Bonaventura dà agli oppositori degli ordini mendicanti. E non è un elemento secondario nella sua visione del cristianesimo. Un anno prima della sua morte Bonaventura è ritornato a Parigi per una serie di conferen­ze all’università dove aveva insegnato. Sono le Conferenze o Colazioni sull’Opera dei Sei giorni (Collationes in Hexaëmeron). In esse sviluppa ancora di più la sua visione e la sua interpretazione della storia, inserendo anche un discorso sul posto che Francesco e i Frati Minori hanno nel disegno salvifico di Dio.

 

Il posto di Francesco e dei francescani

Quando Bonaventura divenne generale del suo ordine, dovette affrontare non solo attacchi dal di fuori, ma anche polemiche dal di dentro della fraternità francescana. Si trattava di divergenze nell’interpretazione dell’ideale di san Francesco.

Il Poverello propone una vita evangelica sine glossa, esortando di “avere lo Spirito del Signore e la sua santa operazione”, come aveva scritto nella Regola6. Ma come incarnare tale vita in altri luoghi e in tempi che cambiano? Alcuni si orientavano ad una mitigazione degli eroici primi tempi dell’ordine. Altri ne difendevano forme ed abitudini in una chiusura a qualsiasi evoluzione7. A Bonaventura il difficile compito di trovare una linea che rimaneva fedele all’i­deale del fondatore, ma che poteva soddisfare anche giuste rivendicazioni di cambiamenti.

 

A tutti i frati, di qualsiasi tendenza, propone la persona di Francesco come sera­fino. Questo termine, fino ad oggi ricorrente in ambiti francescani, ha un senso ascetico (ardente d’amore), ma indica anche il som­mo grado della perfezione. Infatti, nelle sue Collazioni sull’Exameron distingue tre gradi nella vita consacrata, indicandoli con i tre più elevati cori degli angeli: ai Troni corrisponde “l’ordine monastico sia bianco che nero, come i Cistercensi, i Premostratensi, i Cartusiani, i Grandimontensi, i Canonici Regolari”. Ai Cherubini corrispondono i due ordini mendi­canti, i Domenicani e i Francescani.

 

Al culmine della scala degli angeli si tro­vano i Serafini e Bonaventura asserisce che al loro grado corrisponde un ordine futuro del quale lui dice che “si dedicano a Dio secondo il modo sursumattivo, cioè estatico o eccessivo”. Lui intende una vita al di là delle categorie correnti.

 

Per il nostro discorso non è necessario appro­fondire lo specifico di questo “ordine serafico”, di cui lo stesso Bonaventura afferma: “Non è fa­cile sapere quale sarà quest’Ordine futuro o se sia già presente”. Per il nostro scopo basta rilevare innanzitutto che Bonaventura cautamente dice: “A questo Ordine futuro sembra essere apparte­nuto Francesco8. In altre parole: san Francesco anticipa un modo di vivere escatologico. Il suo ideale non appartiene alla storia recente, ma al futuro del cammino della Chiesa. Bisogna quin­di guardare avanti e crescere verso la maturità della vita evangelica che lui ha iniziato.

 

Qui entra un secondo punto da sottoli­neare. Bonaventura non identifica l’ordine di cui lui è ministro generale con l’ordine futuro, ma distingue tra la posizione di Francesco e dell’Ordine dei Frati Minori. Se Francesco può essere assegnato all’ordine futuro ed è quindi “serafico”, l’ordine francescano è “cherubico” e quindi un grado di meno del fondatore. Questo toglie a qualsiasi membro dell’ordine la pretesa di essere già arrivato al culmine della perfezione evangelica, mentre d’altronde lo sprona a pro­gredire verso l’ideale del suo fondatore al quale si arriverà gradualmente e in modo sempre più perfetto nel cammino storico.

Nella storia non ci si allontana dall’ide­ale evangelico di Francesco, ma ci si avvicina sempre di più. La storia non è involuzione, ma evoluzione.

 

Visione positiva della storia

Questa visione affascinante ci può dare uno spunto di conclusione al riguardo della Chiesa “semper reformanda”. Tra la posi­zione di Angelo Clareno e san Bonaventura preferiamo la visione positiva del cammino storico della Chiesa e anche della vita con­sacrata come elemento essenziale di essa. Ci può dare coraggio anche oggi il pensiero di T. de Chardin: “Alla fine succede sempre il meglio e il futuro è migliore di qualsiasi passato”.

 

Chi ha partecipato alla giornata “Carismi in comunione”, svoltasi ad Assisi il 23 ottobre 2010, ha potuto costatare che la Chiesa è vi­va, nonostante tutte le difficoltà che possono esserci. Non siamo noi ad aver suscitato i carismi antichi e nuovi, ma Dio. Il cammino storico passa attraverso innegabili momenti di crisi, ma proprio perché tanti fatti sembrano indicare una involuzione sta a noi mostrare con la vita che Cristo è ancora la Persona centrale per noi, non solo per ognuno singo­larmente, ma proprio vivente in mezzo alla comunità riunita nel suo nome. La spiritualità di comunione proposta e sempre più vissuta dai cristiani di oggi fa avanzare la storia per il meglio, perché contribuisce a realizzare il desiderio supremo di Gesù: “che tutti siano uno” (cf. Gv 17, 21).


1 Si veda T. Jansen, Francescani, Conventuali, Cappuccini: Tre correnti da un’unica fonte, in Unità e Carismi 6 (2000) 18-23.

2 A. Clareno, Liber chronicarum sive tribulatio­num Ordinis Minorum, a cura di G. Boccali, Santa Maria degli Angeli-Assisi 1998.

3 Bonaventura, De perfectione evangelica, Q. II, A. II, ad 20.

4 L’edizione originale in tedesco: J. Ratzinger, Die Geschichtstheologie des heiligen Bonaventura, Schnell & Steiner, München-Zürich 1959; italiano: J. Ratzinger, San Bonaventura. – La teologia della storia, Edizoni Porziuncola, Santa Maria degli Angeli-Assisi 2008.

5 Bonaventura, Breviloquium IV, 4.

6 Regola bollata 10, 8: Fonti Francescane 104.

7 Per ulteriori spiegazioni: T. Jansen, op. cit.

8 Bonaventura, Coll. Hexaem. 22, 20-22.

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