Angela per gli amici

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Wanlapa Hunghuan si accorge della mia sorpresa mentre mi racconta particolari della sua vita in Thailandia, suo paese di origine e ride di gusto: Raramente ho visto girare dei soldi in casa. Eravamo contadini e quando era proprio indispensabile andare in città a comperare qualcosa, si vendeva prima un po’ di riso, della frutta, dei polli – magari una mucca se si prevedeva una spesa importante -, e col ricavato si acquistava poi il necessario. Per loro era normalità. Nata alla fine degli anni Sessanta nella provincia di Sakon Nakhon, città thailandese quasi al confine col Laos, Wanlapa – Angela per gli amici – era la penultima di dieci figli: nove sorelle e un fratello. La famiglia, cattolica, partecipava alla vita della relativamente giovane chiesa locale. Dalle sue parole, però, subito ci si accorge che non si possono fare confronti con la prassi delle nostre comunità parrocchiali. Mi dice, ad esempio, che verso gli anni Ottanta, nonostante i giovani come lei frequentassero regolarmente il catechismo, nel periodo in cui veniva piantato il riso tutto si bloccava, perfino le lezioni di catechismo venivano sospese perché non era possibile dedicarsi ad altro. La povertà era rilevante e il riso costituiva la principale fonte di sostentamento, per cui tutto veniva posposto. Succedeva così che anche i bambini di sette, otto anni diventavano aiuti indispensabili alla famiglia: Wanlapa fin da quella età, prima di recarsi a scuola alle otto del mattino, aveva dietro le spalle già due o tre ore di lavoro nella risaia, o nelle stalle con le mucche. Solo dopo questo impegno gravoso prendeva la cartella e via, a scuola con altre tre sorelle e, a volte, con un solo uovo a testa per pranzo. Ma le piaceva studiare e, finite le elementari, avrebbe voluto continuare; mentre alcune sorelle ed il fratello avevano potuto proseguire, per lei invece il padre mise il veto, non solo per la continuazione degli studi ma anche per una semplice visita in città con la madre e le sorelle… Tuttavia cerca di scusarlo: Forse, vedendosi invecchiare, agiva così per il timore che non gli restasse più nessuno ad aiutarlo nei campi, dato che gli sembravo particolarmente adatta a quel lavoro. Certo era che mi vedevo costantemente relegata in campagna sempre senza un soldo a disposizione. Poi, ad uno ad uno, le sorelle e il fratello se ne erano andati per la propria strada: una si era fatta suora, altre si erano sposate, il fratello studiava in seminario ed occorreva provvedere a tutti. Wanlapa racconta che, poco più che ventenne, era diventata il principale aiuto economico della famiglia, ed aveva dovuto posporre i suoi sogni e le sue aspirazioni: studiare, emanciparsi. La sofferenza di sentirsi sempre messa un po’ da parte, in second’ordine, la porterà così ad una decisione causata dalle cattive condizioni meteorologiche, che impedì al riso di crescere, obbligando i contadini a cercare lavoro altrove: Spinta da questa necessità, oltre che dalla voglia di andarmene lontano, ho cercato lavoro fuori da casa, e l’ho trovato presso una ditta di costruzioni: un lavoro manuale, da uomo. Ero l’unica ragazza, ma l’ho accet- tato. Per sfogare la mia reazione, ho perfino accolto la proposta, fattami da un amico, di imparare il pugilato e mi ci sono esercitata per oltre un anno. Intanto il mio contatto con la famiglia si è sempre più assottigliato, diventando sporadico. Nella complessità dei sentimenti contrastanti che la agitavano, ad un certo punto ha perfino pensato di lasciare tutto ed entrare in una comunità religiosa, forse per sottrarsi completamente all’influenza della famiglia; ma strane circostanze non gliel’hanno permesso. Con casa mia – continua -, forse un po’ per amore di mia madre, non avevo però rotto del tutto: ogni tanto mi facevo viva, magari andavo anche ad aiutare per qualche settimana. Ma poi ripartivo. Ad un certo punto mi sono anche messa a bere e a fumare e, per un periodo, mi sono sentita quasi soddisfatta. Più tardi ho trovato un lavoro a Bangkok, e mi ci sono stabilita, abitando prima con un’amica e poi presso delle suore. Ho allentato del tutto i rapporti familiari, trascurandoli per tanto tempo. Finché un giorno mia sorella mi ha telefonato per darmi la notizia che mia madre era morta. Ho preso il primo pullman e sono tornata al mio paese; ma sono arrivata troppo tardi, perché la mamma era già stata sepolta. E mio padre mi rinfacciava che era morta per colpa mia. Mia sorella, alla quale sono riuscita a confidare il perché della mia lontananza, il mio disagio per non sentirmi amata e capita, mi ha raccontato che la mamma negli ultimi tempi continuava a parlare e a chiedere di me e questo, pur nel dolore, mi ha un po’ consolata: in qualche modo ero stata presente nel suo cuore. Mio padre, invece, aveva come tagliato i ponti e non mi parlava quasi più. Sono così tornata a casa, sperando che i rapporti migliorassero perché, in fondo, avrei voluto cambiare anch’io in meglio. Ma non sapevo come fare, da che parte incominciare, e pregavo Dio che mi aiutasse. Wanlapa si mette ad aiutare in parrocchia: catechismo ai bambini, un po’ di pallacanestro e perfino qualche partita di calcio per farli divertire. Ma col padre il muro continuava ad esistere. Se gli parlavo lui non mi rispondeva o non mi ascoltava; se cucinavo io, anziché mia sorella, lui diceva di non aver fame, ogni cosa fatta da me la evitava. Alternerà così periodi trascorsi a casa ad altri a Bangkok, svolgendo lavori occasionali che le permetteranno di avere qualche soldo a disposizione. Ed è così che, proprio in questa città, a 25 anni, s’imbatterà in alcune persone dei Focolari. Il racconto dell’esperienza di una ragazza della sua età sarà l’occasione di un salutare choc: ode infatti affermare, per la prima volta in vita sua, che dovunque siamo ed in qualsiasi posizione ci troviamo, dobbiamo essere noi i primi ad amare. Fino ad allora – riprende Angela – credevo nella presenza di Gesù nell’eucaristia, ma non avevo mai pensato di poterlo incontrare anche in mio padre! Eppure, le sue parole erano chiare: Qualunque cosa avrete fatta al minimo l’avrete fatta a me. Questa è la volta buona, mi sono detta, e arrivata a casa ho cercato di mettere in pratica quello che avevo capito. Era difficile, ma ho fatto di tutto per non arrendermi. Facevo le pulizie nella camera di mio padre, quando tornava dal lavoro gli portavo l’acqua da bere, cucinavo le cose che sapevo essergli più gradite… Per po’ sembrò non accorgersi delle mie attenzioni, ma non si dice che la goccia d’acqua corrode la roccia? E così è avvenuto. Un giorno anche lui ha messo da parte il suo risentimento e mi ha chiesto perché mi comportavo in quel modo. Gli ho risposto che lo facevo perché gli volevo bene. Ed è così avvenuto l’imprevedibile: con le lacrime agli occhi ci siamo chiesti scusa a vicenda. Da allora tutto è cambiato. Naturalmente poi la vita è proseguita ed è arrivato anche per Wanlapa il momento di lasciare i familiari, ma questa volta non per una reazione negativa nei loro confronti. Riuscirà a completare un primo ciclo di studi e anche il padre e il fratello hanno incominciato a vivere nello spirito dell’unità. Mentre mi racconta questi inattesi sviluppi, gli occhi a mandorla di Wanlapa sembrano allungarsi ancora di più per il sorriso che li illumina.

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