Anche le Barbie possono giocare

Le ragazze del Lleida, una squadra di calcio catalana composta da giocatrici dai 12 ai 14 anni, scrivono la storia

“Anche le Barbie possono giocare”: una frase che rappresenta un calcio a pregiudizi e discriminazioni, alla miopia e allo scetticismo iniziale. Ce n’era tanto attorno alla squadra Infantil femminile catalana dell’AEM Lleida (composta da giocatrici dai 12 ai14 anni) che, da tre stagioni, partecipa alla Segunda División Infantil masculina. Una scelta che inizialmente è parsa discutibile: far giocare le ragazze con i pari età maschili sembrava un azzardo, un rischio troppo grande per la stessa incolumità fisica delle giovani calciatrici. Non per Dani Rodrigo, l’allenatore che dopo due annate d’assestamento ha portato il suo gruppo a celebrare un trionfo storico: primo posto assicurato con 4 giornate d’anticipo, 16 lunghezze sulla seconda in classifica, campionato stravinto con una sola sconfitta in 22 partite, 93 reti fatte e 25 subite.

 

Numeri inequivocabili, coronati anche dal titolo di capocannoniere di Andrea Gomez (37 gol) e dalla miglior difesa della categoria. Un successo che arriva da lontano, figlio di un’idea coraggiosa e di una certosina programmazione. La scelta di inserire le ragazze in un campionato interamente maschile è infatti partita da due volontà: disputare un torneo più competitivo, dato il livello non eccelso delle pari età nelle competizioni femminili, ed evitare le due-tre ore di viaggio che avrebbe invece comportato l’iscrizione a un campionato regionale, con trasferte anche a Barcellona (160 km di distanza).

 

L’impatto, come detto, non è stato facile. Un primo anno con tante sconfitte e qualche critica di troppo. «C’era maleducazione nei nostri confronti – ha precisato Dani Rodrigo alla stampa spagnola – soprattutto da parte dei genitori degli avversari. Da quando abbiamo iniziato a vincere e giocare bene, però, non ridono più». Il segreto del successo? La grande applicazione tecnico-tattica che, secondo l’allenatore, ha marcato la differenza rispetto ai pari di età maschili: lavoro certosino sugli schemi e gioco basato su un possesso palla estremo, come da prassi nella terra del tiqui-taca. La differenza di genere, in età preadolescenziale, si manifesta dunque nella maggior dedizione delle giocatrici, più attente e ricettive ad assimilare i concetti di gioco: elemento che per il coordinatore del club José Maria Salmeron non è spesso ravvisabile nei ragazzi, generalmente più anarchici e disattenti in campo.

 

La vittoria ha catapultato l’AEM Lleida sulla ribalta mediatica: dall’Europa agli Stati Uniti, sono molti gli inviti recapitati alle ragazze di Dani Rodrigo per partecipare a tornei internazionali. L’ultimo della lista arriva direttamente dall’Ecuador, per il prossimo giugno. «Speriamo di poterci essere», ribadisce il tecnico che, dal canto suo, si augura un futuro diverso per il calcio femminile con più spazio sui mezzi di comunicazione, una maggior uniformità di regole tra federazioni e, chiaramente, un maggior investimento da parte degli sponsor.

 

Un aspetto, quello economico, tra i più delicati. «Ci servono sponsor – ha chiarito Sergio Gonzalez, presidente della squadra – ed è per questo che mi sono rivolto a internet». La campagna di crowdfunding, che ha l’obiettivo di raggiungere 10.000 euro per aumentare il numero di squadre e potenziare le infrastrutture esistenti, è già arrivata a quota 1645 in 11 giorni: il nome della raccolta fondi non poteva che essere “anche le Barbie giocano”. Un inno all’impegno di ragazze che, con grandi sforzi e sacrifici, hanno superato dubbi e paure, scrivendo una splendida pagina di calcio.

 

Per loro, ovviamente, sarà impossibile competere con i pari di età maschili negli anni a venire: la crescita muscolare dei ragazzi, durante l’adolescenza, porta infatti a prestazioni atletiche differenti a livello di corsa, resistenza, scatti e velocità. Quello che conta, però, è il messaggio universale di cui lo sport è sempre portatore: un mezzo straordinario per abbattere diffidenze, pregiudizi, razzismo, paura del diverso, discriminazioni di genere nel caso specifico. Con la speranza che, un giorno, mai nessuno si permetta più di dire a un gruppo di ragazze in pantaloncini e calzettoni di tornare a casa a giocare con le Barbie.

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