Alle nozze

Quarta tappa del viaggio in Timor est. L'intensità di una festa di matrimonio per cogliere la profondità di ogni attimo presente

Sì, è vero, questa foto non è da telefonino. Andrebbe assaporata in mano, stretta e toccata nella carta. Lasciata sulla scrivania e ogni tanto ripresa, come un libro da cui non ci si riesce a staccare. Ma me ne sono innamorato e non ho resistito a inviarvela. Perdonatemi.

Io non so ballare, purtroppo l’ho sempre considerata una cosa da non fare, troppo leggera per chi è serio. Forse chissà, nelle vite precedenti sono stato la madre superiora di un collegio tedesco per educande e ancora ne porto le conseguenze.

Alla festa del matrimonio non potevo quindi invitare nessuna ragazza a fare un giro di danza con me. Non sono però riuscito a restare seduto ed ho scattato tra gli invitati nella notte.

Questa foto racconta una storia. È la storia di chi ce la mette tutta per assaporare ogni attimo che la vita dona, così come viene. C’è quasi dolore sui loro volti, forse la consapevolezza che potrebbe essere l’ultimo giro, l’ultimo desiderio. Eppure è un dolore solenne, hanno il volto che pare di un sacerdote alla consacrazione: «Ora ti preghiamo umilmente: manda il tuo Spirito a santificare i doni che ti offriamo, perché diventino per noi il Corpo e il Sangue di Gesù Cristo, tuo Figlio e nostro Signore». E se fosse davvero questo il pane da porre sull’altare, il vino santo con cui infuocarci?

Mi rubano il cuore così seri, così concentrati. Tutto è importante, soprattutto la festa. Con i loro vestitini demodé, nella sala da ballo di lamiere e palme, sulla terra, a me sembrano più belli che dame e cavalieri in un castello.

Per noi divertirsi è – appunto – divergere, distrarsi, andar fuori di testa. Per noi è vomitarsi sull’abito firmato e tirare coca ma solo nei weekend. Poi giacca e cravatta e si torna seri. Io questi non li ho visti divergere da nulla, mi parevano presentissimi a se stessi. È il sapore, il gusto per una vita così poco prevedibile che vale la pena di non perdersela.

Ve lo auguro di cuore. Vi auguro di non saper dire, almeno per una volta, i vostri programmi da lì a domani o – almeno – a due ore. A chi vi chiede che state facendo, vi auguro di rispondere come questi: dansa hela, sto danzando. Che altro?

 

Dal villaggio di Souro, Lospalos, Timor Est, 13 agosto 2019

 

(Altre informazioni sul blog La locanda della parola)

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