Al cuore della democrazia, scegliere la fraternità universale

Riportiamo il contributo di riflessione offerto dal Movimento dei Focolari e Movimento politico per l'unità  al dibattito in vista della Cinquantesima Settimana Sociale dei Cattolici in Italia in programma a Trieste dal 3 al 7  luglio 2024

La Settimana Sociale dei Cattolici in Italia: occasione e impulso per condividere riflessioni sperimentazioni, davanti ai gravi cambiamenti che ci attendono. Per incontrare uomini e donne motivati dalla medesima aspirazione all’unità della famiglia umana e fare scelte radicali, agendo sul piano personale e collettivo.

Lo esige la nostra risposta alla guerra, a tutte le guerre che ci tolgono il respiro. Mentre ci scuotono gli impatti del cambiamento ambientale, la crisi sociale che si diffonde con l’emergenza educativa, la crescita delle disuguaglianze, le chiusure del continente europeo, la concentrazione dei poteri e l’inefficacia del sistema di governance globale.

1.      L’orizzonte che ci guida

Attraversando lacerazioni e terribili sofferenze, l’umanità custodisce nella sua storia un cammino irreversibile verso l’unità e la pace, che impegna ciascuno. Con quanti, in particolare i giovani, non smettono di sognare e di lottare, scommettiamo su questo cammino. Siamo convinti che a orientare questo affascinante percorso non sia la forza dell’indivi- dualismo, ma la profonda solidarietà che sorregge la vita dell’ecosistema globale.

In questo quadro non vogliamo immaginare progetti indifferenziati e irreali, e nemmeno limitarci a elaborare azioni specifiche rispondenti alle domande politiche locali. Vogliamo anzitutto condividere alcune convinzioni per tradurle in scelte conseguenti: la funzione insostituibile della politica per la costruzione del bene comune, con l’indicazione di priorità chiare e processi di armonizzazione degli interessi, dal livello locale a quello internazionale; l’orientamento dei nostri sistemi organizzativi verso forme di governance più collaborativa e policentrica, fondate su una nuova responsabilità reciproca e planetaria; l’esigenza di porre al centro di piani di sviluppo, strutture e servizi, quanti sono socialmente più deboli con le loro domande e le loro possibilità perché, quando la polis è a misura degli ultimi, è a misura di tutti.

L’orizzonte che ci guida è la continua ricerca di una politica di qualità, determinata prima di tutto dalla qualità delle relazioni che anche in politica precede, contiene e supera le forme istituzionali. L’innovazione politica che ne verrà, ispirando nuovi strumenti di partecipazione e rappresentanza, sarà in grado di rigenerare e configurare un assetto democratico coerente.

Ci spinge a impegnarci la prospettiva di “una migliore politica”: non una politica perfetta, dettata da narrazioni ideologiche, ma migliore ogni giorno, capace di ascolto e di studio, competente, efficace, intessuta dal contributo di donne e uomini, giovani e anziani, sani e malati, delle diverse fedi e culture. Una politica migliore è una politica mite, che rigetta la comunicazione ostile, non usa le persone. È una politica che progetta a lungo termine, perché alle domande più gravi non si risponde solo con risposte emergenziali. Una politica che riconosce e valorizza la capacità di auto-organizzazione delle comunità e per questo attiva e sostiene processi di partecipazione e inclusione. Allo stesso tempo è una politica forte, capace di vigorose scelte di campo, che sa mettersi dalla parte delle vittime, ma non abbandona chi è colpevole.

2.      Mediazione e dialogo, al cuore della democrazia

La disintermediazione è un fenomeno in crescita. Se per un esteso arco di tempo la costruzione democratica è stata sorretta da meccanismi di aggregazione delle preferenze individuali e dal principio di maggioranza, oggi gli interessi politici, economici, informativi espressi dai cittadini sono sempre più frammentati, esigiti a titolo individuale. E la funzione di rappresentare tale molteplicità da parte dei mediatori tradizionali è sempre più debole. Accettare passivamente un diverso principio di relazione politica, che disperde un patrimonio di esperienze di formazione e sperimentazione, di articolazione e composizione di interessi differenti, ci appare un’operazione temibile. Le opinioni non sono dati di fatto, quanto posizioni parziali che emergono e si trasformano all’interno di processi plurali e continui, incomprimibili. Per questo, è l’apertura al confronto e la continua inclusione a fondare la forma democratica, ben prima del voto. Se dovessimo andare verso un Parlamento ridotto alle procedure di elezione e di voto, sarebbe pregiudicato, insieme al valore dell’istituzione, anche l’intero sistema di rappresentanza e di garanzia che la democrazia ha saputo darsi su queste premesse.

La riscoperta di questa radice, un capitale non solo dell’Europa ma dei popoli del mondo, rafforza il nostro interesse anche per le fertili ricerche sulla democrazia deliberativa (purtroppo in Italia non ancora molto diffuse), dove deliberation in inglese non significa decisione, ma ciò che la precede: la possibilità e l’esercizio effettivo dell’argomentazione e del dialogo tra portatori di interessi diversi. Certamente alla fine del processo democratico troviamo la decisione, un atto di governo, una legge; ma questa decisione non viene da una serie di automatismi, quanto dalla chiarificazione progressiva delle ragioni, dalla persuasione e dal convincimento, dalla mediazione.

3.      Una “democrazia delle relazioni”

La gravità delle domande ci conduce a prendere posizione: affermare una “democrazia delle relazioni” significa ridare forza ai fondamenti dialogici su cui si radica l’intero sistema istituzionale. E bocciare allo stesso tempo una “democrazia della disintermediazione” con la semplificazione illusoria che propone, dove la libertà di scelta è compressa in un sì e no, e dove la polarizzazione delle idee costituisce l’elemento performante della politica, il suo elemento decisivo.

Come agire? Facendo calare caparbiamente il dialogo nella costruzione democratica quotidiana, dialogo che è costante tessitura di relazioni, riconoscimento della differenza degli interessi e delle competenze. È legittimazione del pluralismo politico, che cerca soluzioni complesse a partire dalla divergenza – tra sviluppo e ambiente, tecnologico e biologico, locale e globale, autoctono e straniero…. – Scegliamo “l’estremismo del dialogo” anche tra differenti ispirazioni politiche, eredità culturali e generazioni, per il contributo che possono portare al tavolo della decisione.

Dialogo anche quando la democrazia contemporanea non ne avverte l’esigenza; le istituzioni politiche sono chiamate in ogni caso, infatti, ad attraversare le divergenze e a cercare il consenso, ma utilizzano ordinariamente altre strutture per giungere alla decisione e fanno prevalere l’affermazione delle identità, la contrapposizione e la competizione delle idee.

Eppure, parlare di relazioni non ci mette automaticamente al sicuro; la relazionalità non è costruttiva per definizione e ci troviamo davanti a scelte e misure che possono dare diverso spessore ad una “democrazia delle relazioni”. Per uscire dalla strettoia, le relazioni devono trovare una qualificazione specifica alla luce di quei caratteri dell’umano che più traducono in dialogo autentico la capacità relazionale: ci interessa l’inclusione di chi è diverso e la condivisione, la prossimità e la sussidiarietà, l’interdipendenza e la sostenibilità a favore delle generazioni future.

4.      Il paradigma politico della fraternità universale

“Il profondo bisogno di pace che l’umanità oggi esprime, dice che la fraternità non è solo un valore, non è solo un metodo, ma un paradigma globale di sviluppo politico. Ecco perché un mondo sempre più interdipendente ha bisogno di politici, di imprenditori, di intellettuali e di artisti che pongano la fraternità – strumento di unità – al centro del loro agire e del loro pensare”. (Chiara Lubich, 2003).

Richiamare la fraternità come principio politico non deve stupire. All’inizio di ogni mutamento sociale, troviamo uomini e donne che hanno reinventato modalità originali di partecipazione alla comunità di appartenenza, di costruzione della comunità politica, ne hanno reinterpretato i valori e le norme, le aspettative.

La fraternità universale (anche se la lingua italiana non accoglie ancora la “sororità”, come abbiamo appreso a dire dibattendo sul termine) è capace di cambiare le regole del gioco: la sua attuazione nell’azione politica diventa criterio di regolazione e valutazione dei risultati, metodo politico nel policy-making; aggiunge creatività e resilienza, prossimità e capacità strategica alla costruzione delle politiche pubbliche. Abbiamo iniziato a sperimentarlo, imparando a connettere la dimensione locale fino a quella continentale e mondiale.

Il Movimento politico per l’unità riflette da tempo sulla possibilità di tradurre in indicatori concreti per la vita politica questi punti di riferimento valoriali. Scegliere la  fraternità significa optare per ciò che definisce l’umano, e quindi assegna anche al civile, all’economico, al politico, qualità e condizioni che vengono prima di ogni altra qualificazione, con una chiarificazione essenziale. Significa considerare la comunità umana come la prima fondamentale appartenenza di ogni uomo e di ogni donna. Dunque, anche i processi di mediazione e di dialogo trovano nella fraternità un criterio di composizione delle ragioni individuali. Se il soggetto politico che ci definisce è l’umanità, ogni attore particolare, portatore di una cultura e di interessi specifici, possiede solo una parte del tutto. Per questo siamo tenuti a coinvolgere e valorizzare anche le ragioni degli altri: non per relativismo, ma perché la struttura di una politica fraterna è relazionale.

Quale sarebbe la ragione, dunque, per non accogliere tra le dimensioni costitutive della democrazia una intenzionalità che sappia porsi anche queste domande? Perché non andare oltre la ricerca di contenuti minimi? Così come lo chiediamo alle relazioni negli ambiti familiari, del lavoro, della scuola, chiedere anche alle relazioni politiche di esprimere coerentemente le qualità dell’umano non è una contaminazione etica ingiustificata. Anche gli studi di genere, tra i diversi filoni di ricerca, ci conducono ad affermarne le ragioni: la domanda di cura, di ascolto, di accoglienza, di attenzione concreta al bisogno, di riconciliazione… Non definisce solamente gli ambiti privati (tanto meno, solo il femminile) o le relazioni a livello micro-sociale: è propria dell’essere umano in quanto tale. Ne deriva che anche le relazioni in ambito pubblico, una volta che assumono fino in fondo tale sfida, non possono che guadagnare profondità e verità.

5.      Alcune piste

L’asticella del pensare e dell’agire politico si alza. Affrontare il deficit di accountability delle istituzioni rappresentative è una delle piste da percorrere, dove una maggiore qualità relazionale può produrre una maggiore qualità politica. Si tratta della chiamata a rendere conto che i cittadini si rivolgono ai rappresentanti eletti con una domanda precisa: di chi è il potere che esercitate? La scienza politica ne parla da tempo come una delle fratture più gravi del disegno democratico; ma è lo stesso silenzio di chi non vota più a indicare l’urgenza di ritrovare il dialogo tra chi occupa temporaneamente ruoli diversi. Non solo perché chi ha ricevuto la delega renda conto di una funzione attraverso un flusso di informazioni corrette, per quanto ciò sia essenziale. Una “democrazia delle relazioni” chiede di più: chiede ai rappresentanti di aprire il mandato alle persone concrete, di attivare uno scambio reale, di confronto e controllo, non soltanto sulla Rete,ma nei territori, che sono il nuovo spazio politico del XXI secolo.

Oggi l’idea di una sussidiarietà circolare promuove la cura e la gestione dei beni comuni, lavorando in rete con chi promuove forme di amministrazione condivisa: vi convergono gli abitanti delle città, gli imprenditori, chi opera nella cultura e nell’informazione, come nella scuola e nella sanità, nell’arte e nello sport. Vere e proprie esperienze di “co- governance” dove si cede potere e si governa il bene comune nel segno della corresponsabilità.

Si intravede il superamento del tradizionale modello “a due binari”, in cui alle istituzioni politico-amministrative spetterebbe il governo vero e proprio delle istanze pubbliche, mentre alla società civile la mera articolazione degli interessi. Stiamo spostando il baricentro? È possibile che la relazione e la sua qualità possano costituire un diverso punto prospettico, in nessun modo uno spazio vuoto da attraversare rapidamente, quanto piuttosto una connessione politica che, come tale, può e deve essere pensata e organizzata.

6.      La metafora della spada e del nodo

Puntiamo sulla società civile, sulla cooperazione delle città, sui popoli e sul multilateralismo. Ogni passo avanti sarà anche un passo nella direzione di un nuovo quadro di istituzioni internazionali, sempre più atteso.

Metafora interessante è quella del nodo di Gordio, la città della Frigia dove Alessandro Magno tagliò con la spada un intricato groviglio di funi, invece di fermarsi a scioglierlo con le mani. Un’immagine che si adatta facilmente a questo tempo, in cui ci troviamo davanti a un gomitolo inestricabile di problemi. E quante volte, di fronte ai passaggi più intricati e faticosi dell’azione politica, invochiamo una decisione rapida e netta, qualche scorciatoia spettacolare che avvicini una soluzione immediata; quante volte desideriamo sottrarci ai tempi lunghi dell’apprendimento e della lenta costruzione delle decisioni attraverso l’accordo. Eppure, altrettanto spesso la realtà boccia il decisionismo verticista di Alessandro Magno e rivela l’inadeguatezza della sua spada. Tagliare di netto raramente risolve i problemi e, anche quando scioglie qualche nodo, i costi sociali possono essere molto alti.

Il racconto di Gordio rappresenta un mito fondativo delle civiltà in Europa: risolvendo la sfida che gli abitanti della Frigia gli hanno posto, Alessandro si è aperto la strada per la conquista dell’Asia. Oggi come allora sembra che la funzione di governo necessiti della scaltrezza dei grandi condottieri. Ci chiediamo, invece, se non dobbiamo guardare, piuttosto che alla spada, a quel nodo: è l’immagine di quei fili a gettare luce sulle profonde connessioni che tessono la convivenza e qualificano anche l’agire politico. È la possibilità di riconoscere e legittimare quelle connessioni che fa della politica il luogo del bene comune, la casa di ciò che è autenticamente umano.

Una concezione autenticamente pluralista, policentrica e partecipativa della democrazia smentisce la metafora della spada e, si potrebbe aggiungere, non si accompagna alla solitudine del leader, ma percorre le vie della relazione, del coinvolgimento e della responsabilità che matura nell’esperienza comunitaria.

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