Acli: Decreto sicurezza senza umanità e giustizia

Il delegato nazionale all’immigrazione chiarisce la posizione delle Associazioni cristiane dei lavoratori, con una disamina delle ragioni che portano a considerare la norma, destinata probabilmente ad essere approvata con voto di fiducia, come contraria alla nostra Costituzione (la prima parte dell'intervento è qui)

Dopo una ricognizione sul percorso che ci ha condotto alla situazione attuale, dobbiamo dire, come Acli, che il Decreto sicurezza bis, all’esame del Parlamento, giunge a travalicare i limiti imposti dalla Costituzione, contravvenendo nei 18 articoli di cui è composto, ai pronunciamenti delle Corte Costituzionale che, già nel 2014, ha specificato che sin dal titolo e poi nell’articolazione del decreto ci deve essere una omogeneità nel contenuto, per cui non si possono mettere insieme cose che hanno poco a fare l’una con l’altra.

I primi cinque articoli, infatti, riguardano il soccorso in mare. Gli altri intendono riformare il codice penale, in particolare la gestione dell’ordine pubblico durante le manifestazioni. Si passa, così, dal provare a regolamentare la vita delle persone con diritti riconosciuti da leggi nazionali e internazionali, alla sicurezza negli stadi (materie queste ultime di cui per evidenti motivi non ci occuperemo).

Molte quindi le questioni che pongono dubbi di conflitto di competenza e di costituzionalità della norma. Dal potere attribuito dall’ articolo 1 del decreto al ministro dell’interno di limitare o vietare l’ingresso il transito o la sosta di navi nel mare territoriale per ragioni di ordine e sicurezza, alle sanzioni smisurate per chi salva vite in mare. Il controverso articolo 2 del Decreto prevede, infatti, oltre alla sanzione aggiuntiva del sequestro della nave, una pena pecuniaria che va da un minimo di 10 mila a un massimo di 50 mila euro (che con il decreto bis potrebbe divenire 1 milione di euro) per il comandante, l’armatore e il proprietario della nave, in caso di violazione del divieto di ingresso, transito o sosta in acque territoriali italiane.

Ci chiediamo: quale ministero deciderà se una nave che presta soccorso a persone in pericolo potrà o non potrà attraccare in un porto italiano? Dopo il caso della Sea Wacht 3 e della capitana Carola Rackete che ci ha resi tristemente famosi in tutto il mondo per la prova muscolare che il ministero degli interni ha esercitato contro 41 persone inermi, quali nuove strategie di difesa dagli attacchi di disperati ci saranno proposte?

Da quello che capiamo, dovrebbe essere competenza del ministero dei trasporti e delle infrastrutture autorizzare l’entrata di una nave in un porto italiano. Inoltre è compito delle procure, e quindi del ministero della giustizia, aprire un’indagine per un’ipotesi di reato di tipo penale come il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.

Per chiudere questa breve disamina del decreto, bisogna sottolineare l’incongruenza dell’articolo 4, secondo il quale è previsto lo stanziamento di 500 mila euro nel 2019, un milione nel 2020 e un milione e mezzo nel 2021 per il contrasto al reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e per operazioni di polizia sotto copertura. Ci chiediamo quante vite umane si potrebbero salvare con queste somme, promuovendo una seria politica di accoglienza in sicurezza umana e in che modo il governo risolverà la questione della mancata trasparenza degli accordi stipulati con altri Stati per l’impiego di operatori di polizia sotto copertura.

Soprattutto domandiamo con quali modalità sarà effettata l’attribuzione di finanziamenti ad autorità di polizia di Stati quali, tra gli altri, la Libia, alla quale pare siano state promesse altre motovedette ed eventuali finanziamenti.

In attesa della discussione in Parlamento del decreto, che prevediamo la maggioranza approverà con voto di fiducia, c’è anche la probabilità che una ricomposizione dei conflitti tra la Lega e il Movimento 5 stelle passi per la decisione dell’impiego di navi da guerra italiane con compiti di pattugliamento del Mediterraneo, in modo da respingere anche l’arrivo di piccole imbarcazioni. Insomma i nostri militari, addestrati a salvarle vite umane, dovrebbero rimandarle nell’inferno di Paesi senza regole e senza sicurezza.

È come aver dichiarato guerra ai disperati e a quelli che non hanno altro modo di difendersi che fuggire da guerre e povertà ineguagliabili. Un imbarbarimento che non trova alcuna giustificazione nei numeri e nella postura istituzionale che un Paese come l’Italia, con un presente e un passato di emigrazione, dovrebbe avere.

Provvedimenti spropositati se si considera nel 2019 sono sbarcati in Italia 3.073 migranti. Di questi solo 248 sono arrivati a bordo delle navi delle ong, ossia circa l’8%. Gli altri 2.825, cioè il 92% del totale, sono arrivati con modalità meno visibili e meno raccontate, ossia in modo completamente autonomo attraverso i cosiddetti “sbarchi fantasma”.

Eppure, un certa propaganda politica non riesce a fare di meglio che mettere sul banco degli imputati le organizzazioni umanitarie, le Ong, le associazioni di accoglienza e a colpevolizzare il principio di solidarietà e di umanità.

Il Paese sembra aver smarrito l’anima e la sua tradizione di accoglienza e di solidarietà. È un’Italia ammorbata e condotta per mano alla paura dello straniero e dell’altro, quello di cui Andrea Camilleri soleva dire non bisogna aver paura «perché anche tu rispetto all’altro, sei l’altro». Questo è il punto a cui è giunta la discussione su un tema cruciale che riguarda, in questa fase della storia, il mondo e non solo l’Europa, la quale, tuttavia, sembra trincerarsi dietro un silenzio assordante.

 

Antonio Russo, segretario di Presidenza nazionale Acli con delega all’immigrazione

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