Accoglienza dei migranti, l’appello della Chiesa

L'impegno della Chiesa a favore dell'accoglienza dei rifugiati sollecita una maggiore apertura verso chi soffre. Papa Francesco chiede aiuto alla comunità internazionale.
ANSA/CESARE ABBATE

Scuotono le coscienze dei credenti gli ultimi fatti riguardanti l’accoglienza, anzi, la non accoglienza dei profughi che giungono nei nostri porti. O, meglio, che vorrebbero giungervi, ma non possono. Di fronte a questa chiusura, si è levata nuovamente la voce della Chiesa. «Sono giunte in queste ultime settimane drammatiche notizie di naufragi di barconi carichi di migranti nelle acque del Mediterraneo. Esprimo – ha detto papa Francesco all’Angelus, domenica scorsa – il mio dolore di fronte a tali tragedie ed assicuro per gli scomparsi e le loro famiglie il mio ricordo e la mia preghiera. Rivolgo un accorato appello affinché la comunità internazionale agisca con decisione e prontezza, onde evitare che simili tragedie abbiano a ripetersi, e per garantire la sicurezza, il rispetto dei diritti e della dignità di tutti».

Sulla stessa lunghezza d’onda, nei giorni precedenti, la Cei. «Non possiamo lasciare che inquietudini e paure condizionino le nostre scelte, determino le nostre risposte, alimentino un clima di diffidenza e disprezzo, di rabbia e rifiuto», ha spiegato la presidenza della Conferenza episcopale italiana con un nota, dal titolo “Migranti, dalla paura all’accoglienza”. Accogliere, accompagnare, integrare, rientra nei doveri non solo dei credenti, ma di ogni persona a cui sta a cuore l’umanità.

Il presidente della Cei, il cardinale Gualtiero Bassetti, lascia intendere che il pensiero della Chiesa è quello del Samaritano, la logica del cristianesimo è quella di prendersi cura, che, ha affermato nel corso di un’omelia a Firenze, «non si può chiudere il porto quando arriva una nave che è piena di disgraziati che sono dei crocifissi, o per un motivo o per un altro, senza giudicare i motivi: che nessuno sia lasciato morire in mare, lo chiedo col cuore».

Per il Bassetti si è perso il senso del fratello: se un ragazzo delle medie arriva a domandarti chi è un fratello, perché è un figlio unico, allora ecco che l’unico diventa egoista, chiuso. Per il presidente della Cei la questione dei migranti «non riguarda soltanto l’Italia: riguarda l’Europa, riguarda il mondo intero, riguarda come è impostata una certa politica che naturalmente non favorisce i popoli più poveri». E ripete forte l’invito a non sottrarsi all’impegno verso quelle persone che ancora sbarcano in Italia e attendono di non essere dimenticati.

Un pensiero condiviso dall’arcivescovo di Palermo, monsignor Lorefice, che in un passaggio dell’omelia per la festa di Santa Rosalia ha affermato: «Siamo noi i predoni dell’Africa! Siamo noi i ladri che, affamando e distruggendo la vita di milioni di poveri, li costringiamo a partire per non morire: bambini senza genitori, padri e madri senza figli. Un esodo epocale si abbatte sull’Europa, che ha deciso di non rilasciare più permessi per entrare regolarmente nel nostro continente. E allora questo esercito di poveri, che non può arrivare da noi in aereo, in nave, in treno, prova ad arrivarci sui barconi dei trafficanti di uomini.  Quelli che vengono chiamati centri di smistamento, di detenzione, quei centri che i nostri governi sollecitano e finanziano per “bloccare” il flusso migratorio, spesso richiamano i campi di concentramento. E se settant’anni fa si poté invocare una mancanza di informazione, oggi no. Non lo possiamo fare, perché ci sono le prove, nella carne martoriata di questa gente, nei filmati, nei reportage di giornalisti coraggiosi (mentre giornali e telegiornali di altra fatta parlano dei migranti sulle navi come di un “carico” alla maniera delle merci e delle banane!). Noi sappiamo, e siamo responsabili. E dobbiamo levarci!».

Dall’altro capo dell’Italia il vescovo Suetta, ricorda l’esperienza della Chiesa di Ventimiglia-San Remo, da qualche anno fortemente coinvolta dal fenomeno dell’immigrazione e scrive: «Mi sono chiesto più volte: quale può essere il ruolo profetico della Chiesa in questa situazione? Certamente, abbiamo dato, e continuiamo a farlo, pasti caldi, riparo e supporti vari a chi versa in condizioni di difficoltà e ha bisogno del necessario per vivere. Ma può bastare questo – si domanda Suetta – per risolvere un problema di proporzioni sempre più gravi?».

E continua la sua riflessione, sull’esperienza dell’emigrazione dolorosa per ogni uomo: «Soffre chi è costretto a lasciare la famiglia, la casa, la terra, abbandonando affetti, costumi, lingua, cultura e tradizioni che compongono la propria identità; soffre la famiglia privata di un suo componente e smembrata; soffre la terra depauperata spesso delle sue risorse migliori».

E ricorda «le difficoltà dei popoli occidentali nel realizzare una difficile integrazione, spesso preoccupati – non sempre senza ragione –  di preservare la loro sicurezza e la loro identità culturale e religiosa». Spesso, a emigrare sono i giovani istruiti, nell’illusorio sogno del benessere europeo a portata di mano. «Oggi – scrive ancora monsignor Suetta – gli uomini, le donne e i bambini coinvolti nel fenomeno delle migrazioni sono -a mio parere – tre volte vittime, sono vittime di ingiustizie, di miserie, e spesso anche di guerra, che li costringono a partire dai loro Paesi d’origine; vittime di rifiuto e di sfruttamento nei Paesi a cui approdano; e vittime di condizioni strutturali che, al di là della buona volontà di chi accoglie, non consentono sempre di dare loro quella fortuna che cercano».

 

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