Aborti in calo in Italia. Nel 2014 meno di 100 mila

Pubblicata  la relazione del Ministero della Sanità sull’applicazione della Legge 194/1978 che regolamenta la possibilità per le donne di ricorrere all’interruzione volontaria di gravidanza. Dati da valutare  
ANSA GINECOLOGIA

Parlare di aborto è sempre problematico, perché è riflettere attorno ad una contraddizione di fondo, il conflitto tra una madre e il figlio che sta crescendo nel suo grembo e che è considerato, per tanti motivi e tutti diversi, un ostacolo alla realizzazione della propria vita o una sofferenza troppo grande per essere affrontata, o il segno di un rapporto fragile, tradito, certamente non espressione d’amore, come invece il concepimento di un figlio dovrebbe essere…

Oggi ci troviamo, però a scrivere una notizia che, da qualunque parte la si legga dovrebbe essere considerata positiva: nel 2014 in Italia, per la prima volta dopo quasi 20 anni, il numero di aborti effettuati nelle strutture sanitarie italiane è sceso al di sotto delle 100.000 unità.

Non che 97.535 interruzioni volontarie di gravidanze siano poche, anche una sola è segno che una vita concepita non vedrà la luce, ma di certo, si conferma un trend che negli ultimi anni si è andato delineando e che ha condotto a ridurre a meno della metà gli aborti dal lontano 1982, quando invece le Ivg superarono ampiamente le 200.000 unità.

Nelle sue 56 pagine il Ministro illustra e analizza il fenomeno, evidenziando che i tassi di abortività più elevati sono fra donne di età compresa tra i 20 e i 29 anni, in possesso di licenza media superiore e occupate. Tale dato ci fa pensare che, di sicuro, la precarietà lavorativa registrata in questi anni in Italia, con i contratti a tempo determinato e/o le prestazioni occasionali, ha reso vulnerabili le giovani donne che, hanno scelto di non accogliere i propri figli, verosimilmente, perché una gravidanza, nella maggior parte dei casi, avrebbe significato la perdita del lavoro, con un vulnus notevole alla propria stabilità economica e alla propria realizzazione personale.

Il tasso di abortività (numero delle Ivg su 1000 donne in età fertile) globale per le donne italiane è del 6,2, mentre per le donne straniere si attesta al 19. Ciò è confermato chiaramente dal fatto che un terzo degli aborti è a carico delle donne immigrate che ancora manifestano grandi difficoltà nell’accogliere un figlio per le condizioni, spesso precarie, nelle quali vivono.

La percentuale delle nubili (54.9%) è superiore a quella delle coniugate (38.2%) per le italiane, al contrario per le donne straniere, con il 48.7% di coniugate e il 44.9% di nubili. Il 39% delle donne che ha eseguito una IVG non ha figli. Il numero delle giovani che ricorrono all’IVG è rimasto pressoché costante, attestandosi al 3,2% di tutte le IVG, con un tasso di abortività di 4,1,  più basso che negli altri Paesi Europei.

Sono segnalati degli esempi virtuosi di intervento di alcuni Consultori familiari che hanno lavorato a livello preventivo, favorendo percorsi di educazione alla salute per i giovani e di promozione della procreazione responsabile. Questo dato potrebbe essere ancora più significativo se ci fosse una politica di sviluppo di questi servizi territoriali che, secondo la legge 34/1996 dovrebbero essere 1 ogni 20.000 abitanti, ma che in realtà sono 0,7 ogni 20.000 con le note discrepanze nord – sud per cui in alcune realtà abitative di più di 70.000 abitanti si registra la presenza di un unico Consultorio: “Viene così vanificata una preziosa risorsa”  che,  “grazie  alle  competenze  multidisciplinari,  più  in  grado  di identificare i determinanti più propriamente sociali” potrebbe  “sostenere la  donna e/o la coppia nella scelta consapevole, nella eventuale riconsiderazione delle motivazioni alla base della sua scelta, di aiutarla nel percorso IVG e ad evitare che l’evento si verifichi nuovamente” (Relazione del Ministro).

Una considerazione importante da fare, che si evidenzierà di più nei prossimi anni, è il peso, sulla diminuzione del numero di IVG, della diffusione dei cosiddetti “contraccettivi d’emergenza”, le pillole del giorno dopo o dei 5 giorni dopo che, fino al 2014, venivano erogati dietro presentazione di ricetta medica e test di gravidanza e che, invece, da quest’anno, per decisione dell’Agenzia del Farmaco, possono essere acquistati direttamente in farmacia da tutte le donne, purchè maggiorenni. Una maggiore chiarezza sul meccanismo di azione di questi prodotti ci aiuterebbe a capire se questi vadano inseriti nel novero dei contraccettivi o se, come alcuni pensano, vadano iscritti all’elenco delle sostanze che provocano microabortività. Il dubbio è lecito.

Tra i commentatori c’è qualcuno che parla di “crollo” del numero degli aborti volontari, paventando l’aumento del ricorso all’aborto clandestino, reso effettivamente più facile dalla disponibilità online di prodotti abortivi usati normalmente come terapia per l’ulcera…

Viene ripresentata, da alcuni, anche l’annosa polemica sul numero eccessivo degli obiettori di coscienza che impedirebbero di effettuare gli aborti in tutte le strutture sanitarie, aumentando i tempi di attesa e costringendo le donne ad “emigrare” lontane da casa. In realtà, tale pericolo non sembra avere fondamento, con un numero di 1,6 aborti/settimana per i medici non obiettori ricavato come media dai dati estremi  della Sardegna, con 0,5 aborti/settimana e del Molise con 4,5.

Con i progressivi tagli alla sanità avuti negli ultimi anni e il blocco delle assunzioni che impedisce il ricambio generazionale tra gli operatori sanitari, si può pensare che alcune attese più lunghe siano comuni alle erogazioni di altri servizi inseriti nei Livelli essenziali (LEA) che pur vengono offerti passando tra disagi e disservizi. Certo, anche il calo generale delle nascite si riflette sul numero di aborti: le donne italiane sono meno fertili e quindi fanno meno aborti perché hanno meno gravidanze…

Una considerazione finale: l’aborto non dovrebbe mai essere visto come l’unica via d’uscita e ogni volta che questo accade è una sconfitta: per il bimbo che non verrà alla luce, per la madre che porterà questa ferita per il resto della vita e per la società che si scoprirà più povera.

E’ per questo che vediamo come una buona possibilità, l’attenzione che il Ministero della Sanità ha mostrato elaborando il Piano Nazionale sulla Fertilità. Tra i suoi obiettivi quello di informare i cittadini a conoscere la propria fertilità, riscoprendola come una capacità essenziale da custodire e preservare, attraverso un cambiamento di abitudini.  Per non vivere la maternità e la paternità come un destino ineluttabile da risolvere con l’aborto o come un desiderio da raggiungere, costi quel che cos

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