A Ferrara è Simbolismo

La mostra a Palazzo dei Diamanti disorienta per la vasta raccolta di grandi nomi. Varcata la soglia d’entrata, i noti capolavori sembrano chiamare lo spettatore come il canto delle sirene che allo stesso tempo seduce e stordisce. Superato il primo spaesamento per l’eccezionalità delle opere esposte, il mistero si schiude e si richiude, quadro dopo quadro. Fra la spiccata diversità di stili e soluzioni che caratterizza questi grandi artisti, un unico denominatore comune: le cose e gli eventi della vita non vengono descritti, quanto piuttosto evocati; in barba al realismo e all’impressionismo della loro epoca, i simbolisti guardano al mondo con un occhio puntato di fuori e uno che guarda dentro. Nei dipinti troviamo quindi visioni interiori, figure e paesaggi dell’anima, ma non per questo meno reali del reale. La prima sala è per i precursori: nella visionaria Salomè di Moreau l’apparizione della testa del Battista fronteggia e denuncia la malvagità e la determinazione della ballerina ancora più ostentata dalla ricercatezza e dalla preziosità della posizione e dell’abito ingioiellato. È il tema della femme fatale che, al di là dell’immagine alla moda, annuncia la lotta tra il bene e il male; invertendo il canone greco, il male si nasconde sotto le seducenti vesti della bellezza. Dante Gabriel Rossetti insiste nel dipingere la donna tanto più bella quanto più pervasa da un estenuato senso di mistero. Continuando ad altalenare fra Francia ed Inghilterra, l’atmosfera si stempera nell’opera di Puvis de Chavannes e nella dolcezza trasognata di Edward Brune Jones. Nella sala nera dedicata ai disegni si completa quel ribaltamento del reale anticipato nelle prime sale; le suggestioni letterarie escono allo sco- perto grazie alle visioni fantastiche di Redon che gareggiano con il lirismo e la fantasia dei versi di Baudelaire; in compagnia del virtuosismo con cui Max Klinger intesse i suoi racconti visivi, e degli acrobatici motivi curvilinei di Beardsley, il corpus di disegni basterebbe da solo a rendere gloria all’esposizione. Il colore di Gauguin consegna le sue tahitiane ad un mondo dove la vita terrena si mescola a quella degli idoli; i pittori Nabis che lo seguono, nelle stile come nei soggetti in bilico fra realtà e fantasia, dipingono le loro storie in un sinuoso arabesco di linee ricercate e piacevoli tanto da trasportare nell’ambito del sogno anche il più consueto incontro fra persone comuni. Con Segantini e Pellizza da Volpedo il simbolismo italiano si presenta legato alla terra, al lavoro nei campi, alla semplicità della vita d’alpeggio; anche il paesaggio, con l’umile lavoro dell’uomo e la serena vita degli animali diventa la potente metafora di una gioia da ricercare nelle piccole cose e della suprema bellezza del creato che informa con le sue leggi anche il più quotidiano aspetto della vita. Opposta per temperamento è l’opera di Munch in cui il dramma della vita, e soprattutto quello della morte, gridano nei colori e scuotono le forme; anche le tranquille Ragazze sul ponte inchiodano lo spettatore in una vertiginosa prospettiva fatta di angoscia e tormento. L’inquietudine interiore passa senza sorta di continuità dall’Ottocento al Novecento. Fra gli altri spiccano i quadri di Mondrian, ormai a un giro di boa dalla ricerca esoterica, e quelli di Klimt il più prezioso fra i pittori simbolisti. Il sonno della bambina, la dolcezza dell’abbraccio materno e la chiusa rassegnazione di una vecchia che più non guarda al mondo, fanno delle Tre età della donna un quadro che condensa i temi forti del simbolismo: speranza, amore, disperazione, e in mezzo le infinite sfumature della sensibilità umana. A volte i sentimenti si stemperano in un corpo che può apparire bellissimo come crudo, ripugnante o ingannevole; altre volte invece emozioni e ricordi vengono cullati in una decorazione a prima vista un po’ gratuita, ma che in realtà si vuole proporre come una trasfigurazione dei percorsi dell’anima: morbidi, sinuosi, quasi materni, ma presto vorticosi, soffocanti, oppure sghembi, affilati, ostili. Sono segni fantasiosi che rappresentano la reale altalena fra amore e dolore, quel continuo spostamento di equilibrio di cui la generazione simbolista ha sperimentato le ansie e i turbamenti. Forse il pegno da pagare per scoprire che la radice della bellezza sta proprio in quell’andirivieni fra amore e dolore, nell’arte come nella vita.

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