Globalizzazione addio?

Dopo che per trent’anni ci hanno fatto credere che la dimensione mondiale era tutto, si riparla con forza di dimensioni locali. Ma non siamo più come prima

Informandomi stamani, m’è apparso evidente come l’idea della globalizzazione abbia ormai raggiunto quasi ogni uomo sulla terra e abbia cambiato il suo modo di pensare. Persino i migranti che arrivano sui barconi hanno il loro cellulare nel quale hanno visto il mondo ricco, lo hanno bramato, lo hanno cercato. Il cellulare, simbolo della globalizzazione digitale, pare quindi il simbolo di un mondo che ha rifiutato il locale per confinarsi in un globale più vago e forse più illusorio.

 

Oggi si parla ancora di globalizzazione come di un oggetto astratto, o piuttosto di un modo di essere – voli facili, connessioni istantanee, lingue maneggiate, merci scambiate – che è entrato nelle nostre giornate e senza la quale non si sa più vivere. Ma, prepotente, emerge anche il bisogno di localizzarsi, di tornare al particolare, più caldo, meno spersonalizzato, meno anonimo. Si ricomincia a favorire i negozietti di quartiere invece di andar sempre nei supermercati, si vogliono costruire muri per evitare l’invasione degli stranieri, si vuol ritrovare la tranquillità del borgo antico.

 

C’è un deficit direi umano in questo modo di intendere sia la globalizzazione che la localizzazione. È impensabile tornare a un isolazionismo politico e sociale continuando ad approfittare però dei benefici e degli strumenti della globalizzazione. E mi torna in mente un discorso, cui mi fu dato di assistere nella mia adolescenza, nel 1972, pronunciato da Chiara Lubich ad un gruppo di giovani. Parlava di “uomo mondo”, non di globalizzazione, intendendo con ciò una persona umana che assume su di sé le mutate condizioni sociali e politiche, ormai planetarie, ma che non cessa di mettere al centro della riflessione e dell’azione non tanto la tecnologia, non gli affari, ma l’uomo, la persona umana, vicino o lontana che sia.

 

Se si vuole salvare globalizzazione e localizzazione nel contempo, l’unico centro capace di declinare insieme la dimensione planetaria e quella locale è la persona umana, capace di pensare l’infinito e di agire nel particolare. Se ci si dimentica l’uomo, la persona umana, le istituzioni falliscono svelando il loro lato disumano. È la sorte che sta toccando all’Unione europea, è la sorte che rischia di toccare anche a tante altre istituzioni internazionali.

 

Solo se Aleppo è mia posso pensare di essere pienamente cittadino romano. Solo se amo Roma posso pensare di abbracciare Aleppo.

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