La morte di Lorenzo e il dibattito sull’alternanza scuola-lavoro

La morte di Lorenzo ha riaperto il dibattitto sulla riforma del governo Renzi. Se da un parte c'è chi ritiene l'alternanza scuola-lavoro utile per incrementare il dialogo tra il mondo della formazione e quello dell'impresa, c'è anche chi pensa possa nascondere sfruttamento e poca sicurezza sul luogo di lavoro.
Fonte: Facebook

Se ogni morte sul lavoro è in quanto tale inaccettabile, lo è ancora di più quando questa colpisce addirittura un diciottenne ai suoi ultimi giorni di alternanza scuola-lavoro: è questo il grido che si è levato in questi giorni in tutta Italia partendo dalla provincia di Udine, dove lo scorso 21 gennaio ha perso la vita il giovane Lorenzo Parelli – colpito da una putrella (una pesante barra di metallo) mentre lavorava ad un laminatoio. Gli inquirenti stanno tuttora indagando sulla dinamica dell’incidente e su eventuali responsabilità del datore di lavoro e del tutor; ma, al di là del corso che farà la giustizia, ciò che rimane è un profondo dolore e un dito puntato contro il sistema di alternanza scuola-lavoro.

Il tema è infatti particolarmente sensibile in una Regione in cui, come tutto il Nordest, da anni viene lamentata la lontananza del sistema di formazione – tecnica e professionale in particolare – dal mondo del lavoro; e la cronica difficoltà delle aziende a reperire personale qualificato. In questo senso, l’alternanza scuola-lavoro e più in generale il “mettere i giovani in fabbrica” è storicamente ritenuto una valida maniera di affrontare il problema; tanto più che, si sostiene, le aziende hanno poi tutto l’interesse a mantenere presso di sé il giovane che hanno formato e offrire un contratto dignitoso. C’è peraltro da ricordare che Lorenzo non era inserito in un percorso di alternanza arrangiato alla bell’e meglio, ma di un vero e proprio sistema di formazione duale che prevede metà ore in classe e metà ore in azienda – e l’Istituto Salesiano Bearzi, a cui il Centro di Formazione Professionale in questione fa capo, è infatti considerato un’eccellenza in materia e vanta collaborazioni anche a livello internazionale.

Il che, però, non ha potuto che far levare ancora più forte la voce di chi – in particolare i sindacati – a questo sistema si è sempre opposto, tacciandolo di metodo per avere manodopera gratis senza assumersi nemmeno i minimi oneri di sicurezza né di reale formazione: è giunta l’ora, si dice, di riportare la formazione a scuola con tutti gli standard di sicurezza del caso, e piuttosto rilanciare l’ormai desueto contratto di apprendistato per un vero inserimento in azienda. Anche diversi studenti, seppure in tutt’altra zona d’Italia – stiamo parlando di Roma – hanno colto l’occasione per protestare contro l’alternanza scuola-lavoro: una manifestazione non preavvisata nei pressi del Pantheon, domenica 23 gennaio, è finita con una carica della polizia in risposta ad un tentativo violento di oltrepassare i blocchi. La cosa si è poi fortunatamente risulta con un corteo in direzione del Ministero dell’Istruzione; ma, per quanto le infiltrazioni violente siano e rimangano condannabili, non è certo la prima volta che i diretti interessati mettono in dubbio l’efficacia di questo strumento formativo – almeno per come viene in molti casi gestito.

Significativo è stato che a parlare siano stati, oggi 23 gennaio, gli industriali di Udine tramite una nota della loro vicepresidente Anna Mareschi Danieli; che, se da un lato ha insistito sulla tragica contabilità delle morti sul lavoro e sulla conseguente necessità di fare di più da parte degli industriali stessi, dall’altro ha esortato a non lasciare che «una gravissima tragedia […] possa mettere in discussione una delle leggi che più sta dando competitività al nostro sistema scolastico e produttivo: parlo della Legge 107/2015 apportata dalla Riforma della Buona Scuola che ha reso obbligatoria l’alternanza scuola-lavoro in tutti gli indirizzi di studio della Scuola secondaria di II grado». Secondo Mareschi Danieli, infatti, «i benefici sono indiscutibili, perché da un lato permettono allo studente di fare una scelta molto più consapevole sul suo futuro lavorativo, e dall’altro la strutturazione dei percorsi didattici impone il dialogo e la collaborazione fra scuola e imprese, avvicinando il mondo della formazione alla realtà economico produttiva, ai fabbisogni di professionalità e competenze richiesti dal territorio. Tutti noi dobbiamo sì pretendere che vengano rimosse a monte le cause di nuovi e ulteriori possibili decessi sul lavoro, ma abbiamo anche il dovere di difendere questo strumento formativo che motiva i nostri ragazzi e arricchisce il loro bagaglio personale».

La questione è dunque assai delicata, perché è composta di temi a loro volta molto sensibili – il ruolo della scuola e delle aziende nella formazione dei giovani, e la sicurezza sul lavoro: e certamente è tragico che sia servito un evento come questo per tornare a parlarne. Fin troppo facile adesso concluderne che il miglior modo per onorare la memoria di Lorenzo è fare passi avanti in questi due ambiti: c’è di che augurarsi che lo si faccia davvero.

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