Visitando Expo

Immagini e pensieri dall’inaugurazione dell’Esposizione Universale. Il padiglione della Chiesa è l’occasione di “percepire” i volti e le voci dei poveri, di chi ha fame. Non offre prodotti in vendita, anzi, chiede ai suoi visitatori un impegno concreto di condivisione
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Le sedie gialle fanno un bel contrasto con il grigio della nebbia e della pioggia che, leggera ma decisa, cade su Milano in questo mattino così particolare: oggi si inaugura Expo 2015, l’Esposizione Universale che ha portato a Milano 145 Paesi espositori. Quando arriviamo con la troupe per girare le prime immagini è già il caos: mancano i permessi, non si trovano i pass, sono tutti un po’ disorientati in questi 110 ettari nella zona a Nord Ovest di Milano, che oggi ha gli occhi del mondo puntati addosso. Poi, piano piano, si entra in questo mondo così strano, bizzarro, bellissimo, che presenta tanti colori: dai variopinti sudamericani, che con la loro allegria portano il sole anche dove non c’è, fino agli eleganti padiglioni asiatici, che uniscono raffinatezza di una tradizione con l’apertura alla modernità.

Tanti luoghi di “Expo” sono ancora un cantiere, è vero, eppure si vede già un’umanità in cammino. In questi giorni lavorerò nel padiglione della Chiesa, 330 metri quadri che, richiamando quello che ha detto papa Francesco all’inaugurazione con il suo messaggio in diretta, vogliono essere l’occasione per i visitatori di “percepire” i volti e le voci dei poveri, di chi ha fame. Il padiglione è sobrio, ma ha delle piccole ricchezze tutte da scoprire e ammirare: è un padiglione che non offre prodotti in vendita, anzi, chiede ai suoi visitatori un impegno concreto per i poveri e per la carità del papa, tramite una piccola offerta libera.

I visitatori qui sono pieni di entusiasmo: «E’ vero che la realizzazione di Expo ha visto molte polemiche, ci sono stati ritardi, ci sono delle inchieste, ma questo non toglie nulla al valore di un’esposizione universale che vuole essere un’occasione di unire i popoli proprio su un tema caro, carissimo a tutti, come quello del cibo e del nutrimento», racconta Rossella.

Guardo la grande tavola interattiva, 12 metri di lunghezza, che è al centro del padiglione. Grazie a dei sensori prendono forma delle animazioni che raccontano la nostra quotidianità con il cibo, nella parte ricca e nella parte povera del mondo. L’interazione fra i vari quadri della tavola è un richiamo alla necessità di una maggiore condivisione tra ricchi e poveri, senza la quale non sarà possibile trovare cibo a sufficienza per tutti.

«In effetti è questo il messaggio più importante di Expo» confida un volontario: «Possiamo proporre, offrire, far vedere tutte le bellezze dei nostri Paesi, che sono vere e sono tante. Ma la bellezza più forte è la condivisione, è il cambio di mentalità che ci viene richiesto, e che speriamo da oggi prenda il cuore di tanti».

Adesso, seduti su queste sedie gialle dell’Open Theatre, sotto la pioggia assistiamo all’inaugurazione ufficiale che dà il via a questi sei mesi di esposizione universale. Sono seduto nell’area stampa e sotto di me una signora dà il suo impermeabile di cellophane, che tutti abbiamo trovato sulle sedie, a un’altra signora che non ce l’ha. Si copre con un ombrello e le regala un sorriso. La scena mi fa pensare: gli ultimi qui non sono nelle prime file, manca ancora, forse, la reale percezione di cosa voglia dire “avere fame” in certe parti del mondo, e il rischio che tutto si risolva solo in una vetrina è forte. Chissà che stare tutti insieme per sei mesi non sia l’occasione di conoscersi, di capirci forse meglio, di imparare una condivisione che non si improvvisa, ma che è l’unica risposta credibile per ripararci dalle intemperie di un “tempo” che è nostro e di cui dobbiamo essere protagonisti.

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