I viaggi del cinema italiano

Due film nelle sale ci parlano della possibilità di viaggiare, nella realtà e nella fantasia. Due pellicole itneressanti, come Drive me home e Appena un minuto.

Viaggiare nella realtà e viaggiare nella favola e nella fantasia. Sono i due estremi, che poi si toccano, del nostro cinema contemporaneo. Drive me home, titolo inglese, come è di moda, è un film niente male di Simone Catania. Racconta una storia di emigrazione, ma all’inverso. Non più africani o pakistani on the road per l’Europa, ma due amici siciliani che si ritrovano dopo anni di separazione.

La vita dei due non è né bella né facile. Agostino è scappata dal paesino fra i monti perché gay e stanco di solitudine, Antonio è solo, indebitato, vuole vendere la bellissima casa paterna. Due infelici che fingono non proprio molto di non esserlo. Così Antonio (un Vinicio Marchioni testardo e cupo) va alla ricerca dell’amico d’infanzia Agostino, un Marco D’Amore biondo che fa il camionista, vive più di notte che di giorno, spostandosi tra la Germania e il Belgio. Il Sud d’Italia, non del mondo, che cerca nuova vita nel ricco Nord europeo. Ma che fatica.

Malinconia, ricordi, contrasti di due vite, di due uomini che si sono diversificate nel tempo e che attendono, faticosamente, di ritrovare sé stessi. Quello che li unisce è la memoria: di casa. Quando casa vuol dire amicizia, paesaggio, odori e sapori.

Il film è un viaggio continuo tra nebbie e monti. Potrebbe essere poetico, ma lo è ben poco alla fine perché l’amarezza  di piombo copre i due uomini. Eppure questa “amaritudine”, tipica dell’uomo siculo, si stempera lentamente e sembra che alla luce di una amicizia ritrovata, ma pronta comunque a distanziarsi ancora, un raggio di speranza possa arrivare in qualche modo. Così tra dolce tristezza, rimpianti e voglia di vivere il viaggio continua nel film di Catania, lombardo di nascita e siciliano di cuore, lasciandoci l’agrodolce di un vissuto aperto a nuove sorprese. Forse.

Capita lo stesso, seppur in modo diverso, nel racconto diretto da Francesco Mandelli Appena un minuto. Max Giusti è Claudio, uno che nella vita è arrivato sempre dopo, in famiglia – la moglie se n’è andata con il “re della zumba”e i due figli -, vive con la madre protettiva, il padre non lo può vedere e si ritrova a  50 anni con amici squattrinati e perdenti come lui.

Come rifarsi una vita? Un viaggio anche qui, ma non per le strade dell’Europa bensì per quelle romane, in un film romanocentrico al cento per cento. Ci vorrebbe un miracolo, laico”. Ed arriva grazie al cellulare comprato dai soliti cinesi, che però ha un pregio. Fa ritornare indietro di appena un minuto nel tempo per così cambiare le situazioni più pesanti in occasioni di rinascita o, meglio, di rivincita.

Claudio ci lavora con tutta la buona volontà. Combina disastri con i figli che vuole riconquistare – esilarante il ragazzino che diventa una star -, con la ex moglie e il suo compagno, ma la spunta e riconquista pian piano la famiglia. Che è poi la cosa che gli sta più  a cuore. Certo, ci vuole la magia del cellulare. Durerà? Chissà. Ma la favola funziona, il cast corale  è scoppiettante, e un filo di speranza ancora una volta, più sorridente, ora, si riannoda.

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