Vescovo Marciante: mafie, i cristiani devono schierarsi

A Ostia si è tornato a sparare. E mentre si consuma una guerra per il controllo del territorio tra i clan Spada e Fasciani, e le forze dell’ordine sequestrano droga e armi, il vescovo ausiliare di Roma per il settore Est, monsignor Giuseppe Marciante incita i fedeli a non rimanere a guardare, ma a “sapere da che parte stare”. E sull’accoglienza di poveri e migranti, lancia un appello alle istituzioni: serve meno burocrazia.

«Don Pino Puglisi diceva: “Se ognuno fa qualcosa, allora si può fare molto”. Se le 83 parrocchie del mio settore formano una vera rete di gente non indifferente, allora sarà possibile cambiare». Giuseppe Marciante, vescovo ausiliare di Roma per il settore Est, conclude con queste parole un partecipato incontro nella parrocchia romana di San Giovanni Battista De Rossi. Un appuntamento che ha visto protagonista don Luigi Ciotti, sacerdote impegnato nella lotta alle illegalità, fondatore di Libera, Associazioni, nomi e numeri contro le mafie.

Nel corso della serata, molto partecipata, si è parlato di fatti di sangue e corruzione, di camorra, ‘ndrangheta e mafia, ma anche nella necessità di avviare, ognuno nel luogo dove vive, un cambiamento che contempli partecipazione civile e senso di responsabilità.

Eccellenza, dopo i fatti di Ostia e, più in generale, in una situazione sociale difficile, quale deve essere l’impegno della Chiesa e dei cristiani contro illegalità e mafie?
«Ci sono dei passaggi importanti da fare. Il primo punto è prendere coscienza, ma si prende coscienza solo se si conosce, e questo è il secondo passaggio. Per cui l’impegno per ogni comunità è di conoscere le problematiche e i fenomeni, soprattutto informandosi con notizie di prima mano. Spesso, invece, si sanno le cose “per sentito dire”, ma noi sappiamo che per sentito dire non si conosce la verità. È soprattutto abitando in un ambiente che si può capire cosa succede».

Quindi c’è bisogno, innanzi tutto, di una presa di coscienza e di un’informazione corretta. Poi?
«Terzo punto, la responsabilità. Dopo che una persona ha preso coscienza ed ha conosciuto il fenomeno, deve schierarsi, deve sapere da che parte stare. Questo significa un cambiamento nella propria vita. Un cambiamento che, come dice don Luigi Ciotti, non parte solo dal basso, ma parte da dentro, parte soprattutto dal cuore, e questo è un altro passaggio importante. Poi, bisogna esercitare la cittadinanza, la propria responsabilità, creando una rete. Le 83 parrocchie del mio Settore, se riescono a fare una rete di gente che ha piena coscienza, che conosce i fenomeni e si impegna, possono cambiare un ambiente. Papa Benedetto XVI parlava delle minoranze attive. Qualcuno diceva che oggi la Chiesa è un po’ una minoranza, però le rivoluzioni si fanno con le minoranze, non si fanno con le masse».

A proposito di minoranze attive: Roma ha aperto le porte delle parrocchie ai poveri e agli immigrati accogliendo l’appello lanciato già qualche anno fa, da papa Francesco. Com’è stata la risposta delle comunità?».
«La risposta è stata positiva però, a volte, c’è una burocrazia che mortifica la spontaneità…».

Intende la burocrazia da parte delle istituzioni?
«Sì. Quando il papa ha fatto quel richiamo, molte parrocchie erano disponibili ad accogliere, ma solo alcune hanno potuto rispondere perché avevano le condizioni per farlo. Ecco, penso che forse bisognerebbe sveltire la burocrazia per permettere a più comunità di poter accogliere, anche in modo molto modesto, molto semplice».

Quindi il suo è anche un appello?
«Sì, è anche un appello alle istituzioni, affinché l’accoglienza sia possibile».

 

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