Vernazza. Riscoperta del Natale

Pendii sfregiati, centro abitato scarnificato. Ma il paese delle Cinque Terre ha ritrovato coraggio e senso della comunità.
Vernazza

Hanno la vivacità delle ventenni, l’intraprendenza delle trentenni e la concretezza e la simpatia di chi conosce la vita. Eppure sono madri di figli grandi o addirittura nonne. E nella tragedia di Vernazza, consumatasi il 25 ottobre, in cui hanno perso presente e futuro, non se la sono sentita di lasciare il paese. Anzi, hanno scoperto una missione. Così ogni mattina le cinque donne spalancano le ante d’ingresso della loro farmacia ed entrano in azione.

 

La farmacia, quella vera, si trovava sulla strada centrale – via Roma –, divenuta il letto del fiume di acqua e fango che ha seppellito negozi, bar, pizzerie ed esercizi ben sopra le insegne. Il giovane e dinamico farmacista, Niccolò Elena, ha trovato ricovero… in chiesa: medicine e prodotti vari raccolti in alcuni cartoni fanno da corona al tavolino di legno con tanto di scritta “Farmacia” davanti all’altare della navata laterale.

 

Le cinque signore, in effetti, si occupano d’altro, lì, nella sede del Centro sportivo italiano, di proprietà della parrocchia, e risparmiata dalla furia del fango perché ubicata sul lato riparato di piazza Guglielmo Marconi, lo spazio antistante la spiaggetta e il porticciolo, gioiello e vanto di una delle perle delle Cinque Terre.

 

Dalle signore si trovano caffè e tè, acqua e succhi di frutta, panini, biscotti e dolci, che predispongono con quanto arriva dalla solidarietà di istituzioni e privati. Ma classificare la loro attività come un semplice improvvisato bar sarebbe fare loro torto, un grave torto.

 

Esse distribuiscono le medicine di cui c’è più necessità in una zona colpita da una tale calamità: una battuta di spirito, un sorriso luminoso, un moto di allegria. Sembrano spensierate nel loro volteggiare da una parte all’altra del locale, ma poi confidano al cronista che spesso, la sera, assieme o da sole, non trattengono le lacrime e un pianto le libera, almeno per un attimo, dalla pressione provocata dalle angoscianti domande sul futuro loro e del paese. Sulla porta a vetri hanno scritto: «Vernazza, resistere, resistere, resistere!», ma ammettono che è dura e che talora «ci sarebbe da spararsi». Invece devono tenere alto il morale delle truppe, ovvero dei 70 residenti che non sono stati evacuati e di quanti – vigili del fuoco, protezione civile e volontari – stanno operando per mettere in sicurezza l’abitato.

 

Di quei “farmaci” speciali ce n’è tanto più bisogno quando piove e tira vento come oggi, in cui è più difficile o impossibile compiere certi lavori. Per di più il mare ruggisce, ostacola le operazioni di rifornimento e scaraventa a terra legno e plastica che vengono rimossi e selezionati. Le onde sono potenti, si infrangono sui macigni posti a protezione del piccolo molo e schizzi e schiuma di colore marrone sommergono in un attimo lo scenario sovrastato da un cielo cupo in cui rotea un gran nugolo di gabbiani.

 

Il mare è di pessimo umore e sembra voglia riconquistare l’insenatura dove barche colorate e gommoni erano ancorati. Quelle placide acque sono un amaro ricordo, così come la piccola spiaggia, meta agognata dei bambini. Ora c’è una spianata di fango e detriti, regno di volatili in cerca di sostentamento.

 

La montagna venuta giù alle spalle, il mare minaccioso davanti: la natura spaventa, atterrisce e fa sperimentare agli umani fragilità e impotenza. Qui il fango si è portato via tre persone, ritrovate poi sui lidi francesi. Ma poteva verificarsi un’ecatombe, perché non era mai successo qualcosa di analogo. Il torrente Vernazzola s’è ingrossato a dismisura, la forte pioggia ha portato giù pendii incolti e ordinati terrazzamenti della montagna. La natura ha dato un saggio della sua potenza: un fiume di 4,5 metri di acqua e fango (di altezza) su via Roma, travolgendo tutto e seppellendo anche la piccola cappella dedicata a santa Marta, rimasta però in piedi.

La perturbazione era da record, come spiegano nella sede comunale, in cima al paese: 510 millimetri di pioggia caduti in poche ore, livello che di solito non viene raggiunto in un anno.

 

Aldo, cinquantenne, barba brizzolata, non dimenticherà mai quanto vissuto. Ci racconta che è scampato all’onda di piena per pochi minuti. Nella sua pizzeria “Fratelli Basso”, su via Roma, stava cercando di mettere in salvo il possibile dall’acqua che stava salendo, quando ha deciso che non era più il caso di rischiare. Erano appena passate le 14,00. Il gelataio e il venditore di ricordi, poco distanti, non ce l’hanno fatta.

 

Natale arriva bussando alla mestizia di tutti e al pianto della signora Caterina, settantenne, banchetto di pesce e marito pescatore, rimasti senza nulla. Natale arriva e trova vernazzesi che hanno riscoperto l’amore per il proprio paese e riassaporato il significato di comunità e il senso di appartenenza.

In una località in cui tutti erano dediti a fare soldi adesso non circola denaro, semplicemente perché non è spendibile. Alla “farmacia” delle cinque signore nulla è in vendita, perché tutto arriva dalla generosità di chi è altrove. Nessuno consuma i pasti per proprio conto. La corrente elettrica è stata ripristinata in buona parte del paese, ma non il gas e il riscaldamento.

 

Alle 12,30 si mangia nel tendone in piazza Marconi e i pranzi e le cene aiutano a stare assieme, a condividere le fatiche, a stemperare tensioni e frustrazioni. I cuochi della Marina militare danno una mano con pregevoli pietanze (resta un segreto il menù della notte di Natale), mentre qualche serata è allietata dalla chitarra e dalla fisarmonica di don Giovanni.

 

Parroco del paese da 11 anni, polacco, è in piena azione dal giorno della calamità. L’antica chiesa (XI secolo), situata su uno sperone roccioso, è diventata sede dell’ambulatorio medico nella cripta e deposito di viveri lungo la navata di destra. È il luogo più sicuro, perché rialzato, nella parte bassa del paese, dove possono arrivare elicottero e imbarcazioni.

«Gli antenati del posto hanno seguito pienamente il consiglio di Gesù, costruendo la casa sulla roccia. Il metro e mezzo di acqua non ha raggiunto il pavimento della chiesa. Così è diventata la casa di tutta la comunità, dove si celebra l’eucaristia e si distribuiscono i viveri».

 

Don Giovanni racconta del coraggio, della determinazione e della solidarietà che ha visto negli abitanti ed è ammirato dei giovani che da mezza Italia vengono nei fine settimana a lavorare: «È un’iniezione di fiducia per tutti». Si passa una mano sulla folta barba nera e aggiunge: «Quanto successo ci fa vivere l’Avvento in maniera diversa. È diventato un tempo di riflessione e di riconciliazione tra le persone, tra l’uomo e la natura, tra l’uomo e Dio». Qualcuno arrivato nel tendone lo saluta in modo cordiale. «Assistiamo a un cambiamento di mentalità: si vuole ricostruire Vernazza non tanto come una bomboniera per i turisti, ma prima di tutto come una comunità davvero autentica». La messa a mezzanotte e il cenone sotto il tendone manifesteranno un Natale diverso. Probabilmente più vero. Mentre il mare, a pochi metri, continuerà a ruggire.

Paolo Lòriga

 

BOX

Sarà una festa più autentica

 

Il pensiero va a tutte le undici persone uccise dall’alluvione nello Spezzino, ai paesi e ai borghi della Val di Vara, già dimenticati dai mass media. Vernazza, certificata dall’Unesco come patrimonio mondiale dell’umanità, gode invece di indubbi privilegi. Ma niente è scontato. Le strade sono interrotte da 110 frane, oltre 500 abitanti restano evacuati. I danni pubblici ammontano a 106 milioni.

Non è comunque una faccenda che scoraggi il sindaco, Vincenzo Resasco, ferroviere con laurea in Lettere moderne, carattere indomito, ripresosi subito dal malore che l’ha colpito nei giorni devastanti.

 

Cosa la preoccupa principalmente alle porte del 25 dicembre?

«La mancanza di risorse per mettere in sicurezza Vernazza e far ripartire la vita. Non difettano invece, come ha visto, forza di volontà e determinazione».

 

Segnali incoraggianti. Se li aspettava?

«Sono rimasto colpito dai giovani. Hanno dato prova di un senso di appartenenza e di un amore per il paese forse sottovalutato. Sempre il sorriso sulle labbra, senza mai lamentarsi. Alcuni hanno perso tutto, ma lavorano per ricostruire il paese. Ammirevoli anche i tanti venuti da fuori».

 

Cosa sta rivelando l’alluvione ai vernazzesi?

«Eravamo un paese ricco e appetibile, ma erano stati commessi errori che vanno eliminati».

 

Quali, signor sindaco?

«Dobbiamo diventare una comunità più sostenibile e meno assorbita dagli affari. Questo è emerso in un’assemblea pubblica da parte dei giovani e degli amministratori».

 

Cosa intende per comunità sostenibile?

«Significa riscoprire il senso di appartenenza, essere attenti al patrimonio naturale che ci circonda, reinvestire sul territorio le risorse che arrivano dal turismo, incentivare la custodia e la coltivazione dei terreni per evitare il degrado, valorizzare la tipicità di coltivazioni e prodotti. Non basta più che ciascuno faccia soldi, ma pubblico e privato devono investire per preservare questo paesaggio. Il territorio ci ha inviato segnali molto chiari con l’alluvione. Le Cinque Terre sono fragili, se l’uomo non se ne prende cura non tengono».

 

Vernazza come si appresta a vivere il Natale?

«Lo vivremo in maniera partecipata. Faremo rientrare la popolazione, se il tempo lo consente, pur con la tristezza di non poter accogliere tutti quanti. Cena prenatalizia nel tendone, alberi addobbati lungo le vie, doni ai bambini, che in queste settimane ci sono mancati. Sarà un Natale diverso, più vissuto e meno consumistico, più autentico perché abbiamo capito ciò che vale».

 

E per il sindaco che Natale sarà?

«Per me è sempre una festa particolare. Faccio in modo che i turni in ferrovia mi permettano di viverlo in famiglia. Le enormi difficoltà di questo periodo mi portano però a dire che forse sarà il mio primo vero Natale».

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