In Veneto “palla al centro”

Alto astensionismo, affermazione delle liste civiche a spese dei partiti tradizionali, caduta del M5S: anche in Veneto si ripropongono un po’ tutti gli elementi che hanno caratterizzato in tutta la Penisola queste elezioni amministrative. Con alcune peculiarità
Massimo Bitonci e Sergio Giordani, che si sfideranno al ballottaggio a Padova

Per chi ancora crede allo stereotipo di un Veneto che, nel segreto della cabina elettorale, va in massa a tracciare la croce sul simbolo del leone di San Marco o di Alberto da Giussano – tanto è uguale –, questa tornata elettorale è l’occasione definitiva per ricredersi rispetto ad una Regione che questo stereotipo l’ha di fatto abbandonato ormai da tempo.

Innanzitutto, in una Regione che ha sempre vantato un’affluenza alle amministrative relativamente alta – cinque anni fa era stata al 66 per cento, ma specie nelle città si erano toccate punte ben più alte – questa volta poco più della metà degli elettori, il 58 per cento, si è recato alle urne. Anche nei capoluoghi dalle sfide più “infiammate”, come Padova e Verona, non ci si è mossi molto al di sopra di questo dato.

In secondo luogo, i simboli dei partiti sembrano aver perso fascino in favore di liste civiche che politicamente si collocano tendenzialmente al Centro, tanto che qualcuno parla già di ritorno della Democrazia Cristiana – che in Veneto, nei tempi d’oro, arrivò a superare il 60 per cento dei consensi. Verona, dove erano in lizza ben nove candidati sindaco, ha visto fronteggiarsi in una corsa al fotofinish Federico Sboarina per il Centrodestra, Patrizia Bisinella (compagna del sindaco uscente Flavio Tosi, di cui è vista sostanzialmente come l’alter ego) a capo di una coalizione “moderata” guidata da Fare!, e Orietta Salemi per il Centrosinistra: è finita con il 29 per cento per il primo, il 23 per la seconda e il 22 per la terza. Al ballottaggio andranno quindi Sboarina e Bisinella, che ha già incassato il sostegno della Salemi: «Inviteremo al voto utile contro la Lega e il centrodestra e in favore delle posizioni civiche più vicine a Pd», ha affermato il responsabile nazionale Enti Locali dei dem Matteo Ricci. Tanto da far affermare a Salvini, con cui Tosi era andato in rotta tanto da uscire dalla Lega, che quello dell’ex sindaco è un partito “di sinistra” che corre insieme ai renziani – e del resto in più occasioni Pd e Tosi si sono trovati sulla stessa linea.

A Padova, città che vedeva sfidarsi l’ex sindaco “defenestrato” Massimo Bitonci – lui sì salviniano di provata fede – e l’imprenditore di centrosinistra Sergio Giordani, la vera sorpresa si è invece chiamata Arturo Lorenzoni – docente universitario a capo di una lista civica che guarda a sinistra. Lorenzoni ha infatti toccato un inaspettato 22 per cento, mentre Bitonci – che aveva dichiarato di puntare alla vittoria al primo turno – si è fermato al 40 per cento e Giordani al 29. Posta comunque la sintonia tra i programmi delle due coalizioni, Giordani e Lorenzoni già parlano di apparentamento; cosa che invece non appare possibile con alcuna altra lista per Bitonci, che ha già riunito tutti i suoi sostenitori. Per quanto si intravveda quindi una più probabile vittoria di Giordani, la partita si giocherà sul filo del rasoio. Anche qui comunque nel segno di un uomo come Giordani a più riprese definito “apartitico”, pur correndo con il Pd, date le sue posizioni moderate e il sostegno di una coalizione sostanzialmente centrista. Del resto, se guardiamo ai consensi avuti dalla singola lista Pd, arriviamo al 13,49 per cento, e persino la Lega si è fermata al 6,64 per cento: i consensi sono quindi andati sì ai singoli candidati ma non tramite la lista del partito, bensì tramite liste civiche.

Emblematico poi il caso di Belluno, dove ad arrivare al 46 per cento è Jacopo Massaro con una lista civica. Tenendo conto che il Pd (che correva da solo) ha già dichiarato di voler far confluire su di lui il suo 9 per cento (!) lo sfidante Paolo Gamba, di un’altra coalizione civica più spostata però a Centrodestra, avrà vita dura nel rimontare il suo 25,5 per cento. Da notare poi la Lega all’11 per cento (che correva con un suo candidato) e il M5S al 3,6, mentre Forza Italia non si è nemmeno presentata con un suo simbolo: un esempio da manuale di questa “caduta dei partiti”, in una provincia in cui peraltro ben due comuni – Pieve di Cadore e Alleghe – sono stati commissariati l’uno per non raggiungimento del quorum del 50 per cento dei votanti a fronte di un unico candidato sindaco, e l’altro per assenza di candidati.

Disaffezione sì, ma non voto di protesta incarnato dal M5S: che, assente in 65 degli 88 Comuni al voto, si limita a confermare l’uscente Roberto Castiglion nella piccolissima Sarego, perde una roccaforte come Mira – dove era stato eletto trionfalmente alla scorsa tornata il ventiseienne pentastellato Alvise Maniero – e anche a Padova si ferma al 5,25 per cento dei voti contro il 10-12 delle previsioni.

Comunque vada, insomma, l’indicazione emersa è che in Veneto gli estremismi non pagano, e gli elettori preferiscono un rassicurante “moderatismo” – spesso espresso da chi non si identifica dogmaticamente in un partito: fattore di cui i candidati al ballottaggio dovranno inevitabilmente tenere conto.

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