Tra vecchie e nuove povertà

Un’esperienza di assistenza al prossimo nella periferia romana, che ci fa guardare al più ampio mondo dell’indigenza nel nostro Paese

Roma, periferia sud-est. Zona popolare e popolosa della capitale. Incontriamo Sergio in uno stanzone seminterrato, tra pacchi e bottiglie. Sergio è responsabile della locale Caritas parrocchiale, organizza la distribuzione mensile del pacco alimentare, vera e propria ancora di salvezza per decine di persone che dall’oggi al domani hanno perso il lavoro, e non solo.

Situazione tristemente diffusa anche oltre la cinta del Grande Raccordo Anulare, dato che sono oltre 5 milioni gli italiani che vivono sotto la soglia della povertà assoluta, secondo l’ultimo rapporto Istat pubblicato il 26 giugno 2018. Non si registrava una cifra così impegnativa dal 2005. Il 17% degli italiani vive ben al di sotto della spesa media mensile che consente di condurre un’esistenza dignitosa. In termini di nuclei familiari, la cifra percentuale si attesta intorno al 7%.

Sergio, 82 anni, organizza insieme ad altri volontari non più tanto giovani la raccolta di alimenti a lunga scadenza dal centro di raccolta di Fiano Romano, smista e contatta le famiglie, che una volta al mese vengono a prendere un sostegno necessario alla sopravvivenza. Le famiglie che richiedono aiuto devono esibire un certificato Isee inferiore ai 3 mila euro annui, oppure ricevere una visita fiscale che attesti che vivono in condizioni di indigenza. Un limite, quello del reddito, che secondo Sergio è un po’ troppo stringente: «Come posso non consegnare un pacco a una famiglia il cui Isee è di poco superiore ai 3 mila euro?». La coperta è corta. Tra le tante richieste di aiuto, spuntano fuori diversi padri di famiglia, che hanno perso il lavoro da poco e non riescono ad arrivare a fine mese. In questo caso l’aiuto è temporaneo, che termina nel momento in cui, si spera, queste persone escano dall’elenco dei disoccupati.

Da qualche settimana una produzione televisiva, decisa a combattere gli sprechi, contatta Sergio per consegnare gli avanzi, ancora confezionati, dei pasti acquistati per la troupe: «Chiamano a qualsiasi ora del giorno e della notte, a mia volta contatto le persone che conosco e che hanno bisogno e consegno loro il cibo».

Una seconda tipologia di bisognosi è rappresentata dagli anziani, spesso soli. Per loro «la forma di assistenza è sbagliata – dice Sergio – dato che si limita alla sola questione alimentare. Le forme di povertà sono purtroppo evolute. Molti non hanno accesso a cure mediche o non possono permettersi medicinali da banco. Altri invece vivono in solitudine». Fattispecie, quest’ultima, sempre più diffusa. «Sono in troppi gli anziani che non escono di casa per mesi, il cui unico contatto siamo noi. Persone che hanno perso il coniuge e che non riescono ad arrivare a fine mese». I casi sono molti, tristemente tipici o banali, ma tutti sono collegati da un concetto comune: «Sono condizioni sociali disperate in cui si perde la fiducia verso il prossimo». La solitudine e l’impossibilità di accedere alle cure sono solo due delle tante forme di povertà che non possono essere arginate con la consegna mensile di beni alimentari a lunga conservazione.

Per sopperire a queste lacune la parrocchia di turno dovrebbe realizzare attività di assistenza a domicilio, ulteriori raccolte alimentari, una rete di assistenza medica gratuita e altro ancora. I volontari della parrocchia fanno fatica a trovare volontari giovani che possano mettere in piedi una rete più capillare ed efficace di assistenza integrata. Lo stesso Sergio, che sta affrontando il suo quinto tumore, trova difficoltà a portare a vanti il suo servizio, ma non trova la forza di smettere: «non ho il coraggio di lasciare le chiavi sul tavolo e lasciare agli altri i problemi».

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