Vaticano II, un invito all’unità per le comunità separate

Nell'anno del cinquantesimo del Concilio riscropriamo le prerogative, le novità e l'impegno nel dialogo  ecumenico attraverso il libro di Viviana De Marco
Giovanni XXIII inaugura il Vaticano II
Il Concilio Vaticano II stravolse i canoni e l’approccio adottato fino ad allora nella chiesa cattolica a proposito del dialogo con le altre confessioni religiose. La svolta verso l’Ecumenismo è testimoniata dal documento Unitatis Redintegratio e dalla dichiarazione Nostra Aetate, ma è la presenza, per la prima volta in ambito cattolico, di rappresentanti delle confessioni ortodosse e protestanti in qualità di orsservatori, a parlare con maggiore vigore. I passi compiuti  su questa strada del dialogo e dell’incontro li troviamo nel libro di Viviana De Marco per Città Nuova 

. Ne presentiamo uno stralcio.

 

«Il Concilio Vaticano II ha una caratterizzazione ecumenica sin dal suo annuncio (25 gennaio 1959): esso "mira non solo all’edificazione del popolo cristiano, ma vuole essere un invito alle comunità separate per la ricerca dell’unità a cui tante anime anelano da tutti i punti della terra". Giovanni XXIII convoca il concilio "per mostrare maggiormente il nostro amore e la nostra benevolenza verso coloro che si chiamano cristiani, ma sono separati da questa Sede Apostolica" perché "possano trovare la via per raggiungere l’unità"•[1]. Egli spiega che "la responsabilità è di tutti. Noi vogliamo solamente dire: raduniamoci, mettiamo fine alla divisione"•[2].

 

«Nel 1960 viene creato il Segretariato per l’Unione dei Cristiani (che divenne il Pontificio Consiglio per l’Unità dei cristiani) con i cardinali Bea e Willebrands. Le parole d’ordine sono: unità, koinonia, dialogo. Giovanni XXIII nel discorso di apertura (11 gennaio 1962) afferma che il concilio ricerca l’unità su diversi livelli: "L’unità dei cattolici fra loro, unità che deve rimanere estremamente ferma ed esemplare; l’unità di preghiere e voti ardenti che manifestano le aspirazioni dei cristiani separati dalla Sede Apostolica di essere uniti a noi; l’unità manifestata da coloro che professano diverse forme di religione non ancora cristiane"•[3]. Egli delinea in nuce i dialoghi che si sviluppano negli anni a venire: il dialogo all’interno della Chiesa cattolica, il dialogo ecumenico, il dialogo interreligioso a cui si aggiunge il quarto dialogo, quello col mondo contemporaneo e con le persone di diverse convinzioni.

 

«I quattro dialoghi sono varianti dell’unica tensione verso l’unità e dell’impegno ecumenico del concilio•[4]. Molto interessante è il metodo proposto: approfondire la dottrina cattolica distinguendo le verità della fede dalla forma in cui vengono enunciate, il modus enuntiandi. Si delinea il principio di carità ecumenica affermato dalla UR: evitare espressioni che possono essere fraintese o creare incomprensioni. Si recepisce l’importanza di un nuovo linguaggio: quelli che prima erano considerati eretici, membri di sectae acatholicae, ora vengono chiamati fratelli separati e le loro esperienze sono chiamate Chiese o comunità ecclesiali; oggi si parla di cristiani di Chiese diverse. Nella stesura dell’Unitatis Redintegratio c’è un cambiamento di linguaggio: l’espressione iniziale “principi dell’ecumenismo cattolico” si trasforma in “principi cattolici dell’ecumenismo”. Si comprende che "la questione dell’ecumenismo è assolutamente nuova; nessuno infatti dei Concili l’ha mai trattata": questo "implicava nei Padri un cambio di mentalità per entrare in una tradizione nuova dal punto di vista dell’insegnamento magisteriale, rispetto a cui i concetti in uso e la loro formulazione risultavano come minimo, inadeguati"•[5]

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«L’impegno ecumenico caratterizza i diversi documenti del concilio: la Dignitatis Humanae parla della libertà religiosa affermando che la ricerca della verità fa parte della dignità della persona. La Dei Verbum evidenzia la centralità della Parola di Dio e riscopre il metodo esegetico: uno dei frutti ecumenici del concilio è la traduzione interconfessionale della Bibbia. Molto importante è la Sacrosanctum Concilium,che con la riforma della liturgia e l’adeguamento ai tempi e ai diversi popoli permette di trovare un fertile terreno di incontro con tutti i cristiani».



[1]Giovanni XXIII, in «L’Osservatore Romano» 26/27 gennaio 1959.

[2]Giovanni XXIII, in «Herder Korrespondenz» 13 (1958-1959), 274.

[3]M. Villain, Introduzione all’ecumenismo, Emi, Milano 1965, 352-353.

[4]G. Pattaro, Corso di teologia dell’ecumenismo, Queriniana, Brescia 1985, 134.

[5]Ibid., 121.

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