Van Gogh made in China

Cosa accomuna il grande artista-operaio olandese e un giovane operaio-artista cinese in una fabbrica vicino Hong Kong? Questo è l’originale cortocircuito da cui parte lo spettacolo della compagnia romana Leviedelfool, ora in scena al Piccolo Bellini di Napoli
Van Gogh made in Cina

A Shenzhen, in Cina, esistono fabbriche a cielo aperto interamente dedicate alla riproduzione di opere d’arte destinate al merchandising dei Musei. Tra quelle più richieste c’è La Gioconda di Leonardo da Vinci e i Dodici girasoli in un vaso di Vincent Van Gogh. Ed ecco in scena Van Gogh, l’artista/operaio (846 tele, 1000 disegni, 821 lettere), e l’operaio/artista impiegato a Shenzhen. Da una parte il genio, la follia, il caso. Dall’altra la ricerca di un metodo infallibile per riprodurre miracoli su richiesta. Entrambi specializzati in girasoli ma scommettendo su destini diversi. «Ogni cosa che fai e che dici è un autoritratto».

Elencando al microfono una lista di azioni quotidiane assurte a opere d’arte, ripete questa frase il Van Gogh dell’attore e autore Simone Perinelli alternandosi nei panni del pittore olandese e in quelli di un cinese. Quest’ultimo è un venditore del made in China, cioè della riproduzione di massa dell’opera d’arte a fini commerciali e destinata alla deperibilità. È un arredatore d’interni, che elargisce i consigli dell’antica arte cinese di Feng Shui di arredare in armonia con l’energia dell’universo. Ma suggerisce anche le cinque regole del “selfie” perfetto, l’autoritratto del nostro tempo immortalato nello smartphone, l’autoscatto divenuto mania.

Cosa c’entri Vincent con la Cina, due mondi distanti sia geograficamente che culturalmente, è presto detto: mettere a confronto, nel loro stridente contrasto di eternità e deteriorabilità, l’arte sublime e immortale del grande artista – che scriveva di «non soffocare la tua ispirazione e la tua immaginazione, non diventare lo schiavo del tuo modello» –, e quella kitsch ed effimera della riproducibilità. Nasce da questa idea lo spettacolo Made in China. Postcards from Van Gogh di Simone Perinelli in scena con Claudia Marsicano della compagnia Leviedelfool (spettacolo che dal 2015 continua a girare l’Italia).

Ed è subito visione teatrale: un richiamo al mondo pittorico e alle pagine letterarie di Vincent sconfinanti nell’immaginario orientale di ieri, compreso il mondo ordinario di oggi: come i cinesi dei negozi commerciali, resi con l’ironia dell’imitazione parlata della “elle” al posto della “erre”, e con una divertente scenetta, sempre, però, nell’alveo di una scrittura poetica e surreale creata da un susseguirsi di quadri a sé stanti, di scene evocative. Dal roteare sempre più veloce di un ombrellino il cui colore giallo crea l’illusione ottica del girasole, alla pioggia di petali, alla tazza del tè nella composta sequenza di un’interminabile roteare del cucchiaino, al canto di O’ sole mio in cinese, alla memoria del colore nel cervello descritto nella zona dell’ippocampo. S

ulla scena bianca o disseminata di segni geometrici luminosi e con le postazioni di due microfoni e di una sedia, vive la presenza di Van Gogh: delle lettere al fratello Theo, e soprattutto quelle a Emile Bernard e alla sorella Wilhelmina; della profonda solitudine; della lucida pazzia che lo faceva lavorare giorno e notte nell’ospedale psichiatrico di Saint Remy dove, ricordiamolo, produsse 150 dipinti e 100 disegni; dell’orecchio bendato; dei corvi nel campo di grano. È l’evocazione del pittore degli ultimi quadri – La sedia vuota, Autoritratto con orecchio bendato, La notte stellata, La camera di Vincent ad Arles – nel periodo di maggiore agitazione psicotica. Sono queste e altre le tracce gestuali disseminate in uno spettacolo denso suggestioni teatrali dove le parole, i suoni, gli oggetti, aprono a luoghi mentali e visivi, a spazi interiori, a cartoline dell’anima.

 

“Made in China. Postcards from Van Gogh”, uno spettacolo di Leviedelfool, drammaturgia e regia Simone Perinelli, musiche, originali Massimiliano Setti, disegno luci Marco Bagnai, produzione Fondazione Teatro della Toscana. A Napoli, Piccolo Bellini, fino al 9/12/2018.

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