Il valore dei profughi illegali

Una nuova legge passata dalla giunta militare ha gettato paura ed innescato un fuggi fuggi generale tra i migranti che vivono e lavorano in Thailandia
Bangkok

Se si va per le strade di Bangkok – nella famosa Sukhumvit – e si desidera comprare qualche souvenir per gli amici in Europa, tra le tante e variopinte bancarelle, scambiando due parole con i tanti venditori ci si accorge subito che non sono thailandesi. E chiedendo da dove vengono spesso non ti rispondono per paura di rivelare la loro vera identità, magari ad un poliziotto in borghese. Poi, una volta capito che sei semplicemente un genuino compratore straniero, inizia un dialogo interessante: costoro – e sono tanti, tantissimi – vengono dal Myanmar e vivono in baracche di fortuna, lavorano ed hanno spesso famiglia in Thailandia. Ormai un numero sempre più elevato di operai qualificati e non, venditori, cuochi e cuoche, garzoni di bottega, camerieri, badanti e potremmo continuare la lista con ogni sorta di lavoro manuale, sono originari del Myanmar e sono arrivati nel Regno della Thailandia in cerca di una vita migliore. E sicuramente l’hanno trovata. Una stima approssimativa parla di un milione di lavoratori nella sola grande metropoli di Bangkok. Impossibile contare quanti sono su tutto il territorio della Thailandia: si parla di alcuni milioni, ma non ci sono cifre esatte.

La nuova legge, varata alla fine di giugno dalla giunta militare, obbligava ogni lavoratore alla registrazione presso gli uffici del lavoro; e ogni datore di lavoro a dichiarare e regolarizzare la posizione dei lavoratori stranieri impiegati. Pene previste? Severissime per i lavoratori, e fino a circa 8,000 dollari per i datori di lavoro. La polizia ha subito iniziato a fermare la gente nei mercati – soprattutto al confine, nella cittadina di Mae Sot – arrestando chi non era in regola con i documenti. Il risultato è stato catastrofico: si è scatenato un vero e proprio esodo verso il Myanmar. Soprattutto il confine nord ovest è stato invaso da migranti provenienti da tutto il Paese che tornavano a casa loro, lasciando i posti di lavoro dal giorno alla notte; tanto che molte aziende e le organizzazioni non governative – che si occupano dei diritti umani e dell’aiuto ai profughi – hanno richiamato il governo ad un’applicazione graduale della legge, pensando anche agli effetti collaterali di provvedimenti legislativi presi senza consultare tutte le parti interessate. Come qualcuno ha commentato: «La vita economica di un Paese non si guida come un campo di battaglia, agli ordini di uno solo. È importante e necessario un lavoro fatto ascoltando tutte le parti e ponderando le conseguenze». Il governo ha rinviato l’entrata in vigore della legge sull’immigrazione al 1 gennaio 2018 e la polizia ha smesso, almeno per il momento, di andare ad arrestare i profughi per la strada.

La Thailandia e le sue forze dell’ordine sono note al mondo per i metodi rudi – e non sempre legali – nei confronti dei migranti, e soprattutto per la scarsa tutela di quelli irregolari; tanto che anche quest’anno il Paese è stato classificato dall’Agenzia americana per la tutela dei diritti umani e della prevenzione del traffico umano tra le nazioni ancora sotto osservazione e con gravi violazioni in materia, scatenando una protesta da parte del governo militare che non ha gradito questo risultato.

Tutto questo ha dimostrato ancora una volta, se ce ne fosse stato il bisogno, che i profughi valgono e vanno protetti anche in una società ricca come quella thailandese. In molti si sono chiesti: «Perché non agevolare la vita di coloro che stanno dando un apporto importante all’economia della “Tigre thailandese”, invece di trattarli come merce di scarto o di poco valore?» Certamente ci vuole equilibrio tra l’esigenza della sicurezza nazionale contro il terrorismo, per esempio, e la necessità di manodopera a basso costo (il mercato thailandese ne è sempre più affamato); e senza dubbio i diritti dei lavoratori delle classi più umili devono essere rispettati e non semplicemente ignorati o calpestati. Perché il mondo sta a guardare e valuta l’operato dei governi poco attenti e rispettosi.

Al confine tra il Myanmar e la Thailandia la vita dei migranti sembra che stia riprendendo e si avvii verso la normalità: nelle molte scuole per i figli di coloro che non hanno i regolari permessi di soggiorno sono riprese le lezioni, anche se con paura. Si gira per le strade con sospetto, ma la vita deve continuare: le bocche da sfamare sono molte. Anche l’aiuto che molte organizzazioni portano ai migranti è ripreso, se mai fosse stato interrotto: non è possibile abbandonare questa folla di essere umani o semplicemente rimandarla a mani vuote a casa loro, verso un destino ancora più crudele.

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